La ragazza della cisterna di Ponte Vecchio

Il mio nome non è importante, ma se volete potete chiamarmi Corda. Vi sto scrivendo perché sono passati quattro giorni da quando l’ho lasciata dietro alla cisterna di Ponte Vecchio, e i giornali non ne hanno ancora parlato.

Sta nevicando, l’idea che lei sia lì, sola e coperta di neve, mi tormenta.

Non riesco a credere che non l’abbiate ancora cercata, è come se non fosse mai esistita. Avrà avuto una famiglia e degli amici. Che so, un fidanzato, un padre o una madre. Una sorella o un fratello. È possibile che con tutte le diavolerie che si fanno con i telefoni di oggi, nessuno abbia notato la sua assenza?

Era ancora viva quando le ho slegato i polsi e le caviglie. Non credo sia un dettaglio importante, ma è giusto che sappiate come stanno le cose.

C’è una grata dietro alla cisterna, l’ho tirata su. Era arrugginita, era anche abbastanza pesante. Non l’ho rimessa a posto, se non è caduta sotto la neve, è ancora appoggiata al muro. Lei è lì sotto.

La situazione ha preso una piega inaspettata, le cose non seguono sempre i programmi. Tutto questo silenzio rende vano il suo sacrificio, non posso sopportarlo.

Ho pensato a lungo prima di scrivervi. So che mi costerà caro, ma il tempo passava e non succedeva niente. Dovevo intervenire.

Vi confesso di averla slegata per non sprecare la corda, immagino che dovrò usarla ancora. E comunque a lei non serviva più.

Forse prima vi ho dato delle false speranze, vi ho detto che respirava ancora quando l’ho liberata, ma non illudetevi, non può essere scappata da nessuna parte. La troverete esattamente dove vi ho detto. Morta.

Temo che i topi e i gatti randagi ne possano aver straziato i resti, anche questo mi tormenta. Non era mia intenzione.

La vita e la morte sono concetti che non riesco a inquadrare, so però che non basta avere aria nei polmoni per essere vivi. Io, per esempio, sto respirando anche in questo momento, eppure sono già morto.

Non mi illudo, non sono perfetto, per quanto mi sforzi, so che sto lasciando tracce dappertutto. Quindi, perché non avrei dovuto scrivervi? Presto o tardi arriverete da me comunque. Spero solo che, quando accadrà, io abbia abbastanza tempo per usare un po’ di corda con me, perché è meglio un morto appeso al lampadario che un morto chiuso in prigione.

Ho già preparato tutto, mi manca solo il coraggio. Conto su di voi, mi aiuterete a trovarlo. Forse sto straparlando, il fatto è che il freddo mi fa perdere la ragione.

Odio l’inverno. Vorrei che fosse sempre estate. Il ghiaccio mi brucia il cervello, non mi fa respirare.

Da bambino mi piaceva la neve, ora la detesto. Sono contento però che stia nevicando, almeno lei non andrà in putrefazione. Ho visto le foto della ragazza che ho messo a guardia del faro delle Secche di Vada. Non sono stato io a ridurla così. Io l’ho solo legata e slegata. Tra l’una e l’altra cosa non l’ho nemmeno toccata. Cioè, ho dovuto prenderla in braccio e metterla nella barca, ma non ho fatto altro.

L’ho guardata, questo sì. L’ho guardata quasi tutto il tempo.

La prima volta ho legato un gatto. Non so se qualcuno di voi ha mai sentito quella stupida storia del petardo e del gatto. Insomma, un compagno di scuola me l’aveva raccontata, dicendomi che lo aveva fatto. Avevo immaginato la scena: lui che catturava un gatto randagio e che accendeva il petardo.

Provo ancora disgusto al pensiero dell’esplosione. Del corpo dilaniato, delle viscere e del sangue. L’idea dell’odore di polvere da sparo e carne bruciata mi provoca i conati di vomito. Non so come abbia potuto credere a un’assurdità simile, eppure è successo. Ora so che non era vero, che chi me l’ha raccontata ha finto di averlo fatto, rubando una storia inventata da qualche imbecille. I gatti sono animali veloci, è impossibile che un ragazzino idiota possa infilargli un petardo nel culo.

Allora però non ci avevo dormito la notte. Volevo vedere con i miei occhi, dovevo. Solo che i petardi mi facevano paura, mentre con la corda mi sono sempre trovato a mio agio. Non parlo di quella schifezza di plastica che provano a venderti oggi, intendo la corda vera, quella fatta con la canapa. Fare i nodi mi viene naturale, mi basta vederli una volta e riesco subito a rifarli. Non lo so, forse è un dono che ho. L’unico, direi.

Così ho cercato un gatto randagio. Non l’ho scelto io, è stato lui a scegliere me. Mi si è avvicinato, gli ho dato da mangiare. Ho aspettato che si sentisse sicuro, poi l’ho preso e gli ho legato le quattro zampe e il collo.

Non è stato facile, ma ve l’ho detto, sono bravo con la corda.

L’ho portato in una vecchia cascina abbandonata, e siamo rimasti lì a guardarci. All’inizio si dimenava, e più si dimenava e più il nodo al collo stringeva. Passata qualche ora ha capito e si è arreso. Ha smesso di lottare.

Gli animali sono molto più veloci degli uomini a capire, non posso certo dire che lei si sia comportata nello stesso modo.

Il giorno successivo sono tornato nella cascina, e il gatto era fermo dove lo avevo lasciato. Mi sono avvicinato e ho ripreso a guardarlo. Non ricordo nemmeno quanto tempo io sia rimasto lì, ma le ore sono passate così in fretta che presto si è fatto buio.

Il suo sguardo era perso, neutro. Non c’era odio nei suoi occhi, nemmeno paura. Nessuna domanda. C’era solo la consapevolezza che presto sarebbe finito tutto. Lo sapevamo entrambi, aspettavamo che succedesse.

Gli occhi di lei invece hanno continuato a implorare e a chiedere per quale motivo. Ho faticato a resistere, soprattutto perché non avevo una risposta.

Non lo so il motivo, è così e basta.

Ricordo che avrei voluto guardare il gatto fino al suo ultimo respiro, ma non ho potuto. Come ho detto prima, le cose non vanno sempre secondo i piani. Ero un bambino, e i bambini non possono fare tutto quello che vogliono, purtroppo.

Quando sono tornato da lui, due giorni dopo, il gatto era sempre lì, con le zampe e il collo legati, solo che era morto.

Mi ha fatto soffrire, forse è per questo che continuo a pensarci. Che non lo dimentico come tutto il resto.

Mi sono chiesto a lungo se sia stato il gatto a procurarsi la morte, o se la morte sia arrivata da sola. Mi sembrava una cosa importante da sapere. Con il tempo, però, anche questa domanda priva di risposte ha perso significato. La morte è arrivata, il modo in cui abbia agito non fa alcuna differenza.

Lei comunque non è la prima, ce ne sono altre. Della ragazza del faro delle Secche di Vada vi ho già parlato prima. I vostri colleghi toscani l’hanno trovata dopo una settimana, sono stati lenti. Non avrei mai pensato che un posto del genere rimanesse inosservato per così tanto tempo. Poi c’è la ragazza nel bosco di Bomarzo, lei in effetti era difficile da trovare. Lasciarla vicino al Bosco Sacro, ossia a dove l’avevo incontrata, mi era sembrato corretto. Un vero bosco però è un posto insidioso, ci si perde con facilità. Capisco perché i vostri colleghi del Lazio abbiano avuto bisogno di diciassette giorni.

In effetti sono stato troppo scenografico, ho dato più importanza del dovuto al contesto. È stato rischioso, adesso basta. Tanto più che non è servito a niente.

Non siete poi così in gamba, non come credevo, se non altro.

Sul serio, ho letto un articolo di giornale che parlava della ragazza del bosco di Bomarzo. Un giornalista della stampa locale, uno bravo direi, aveva azzardato un collegamento tra quella storia e quella della ragazza del faro delle Secche di Vada. Nessuno dei vostri colleghi, né del Lazio, né della Toscana lo ha confermato.

Forse è perché quel giornalista non aveva un nome importante, oppure perché un collegamento del genere significava qualcosa di spaventoso a cui non volevate credere, non lo so. Anche io non vorrei crederci, ma è successo.

Ecco, ora ne avete conferma e, per darvene una prova concreta, vi invito a cercare nella cisterna di Ponte Vecchio. Con un po’ di impegno troverete parte della corda con cui ho legato la ragazza del faro delle Secche di Vada e parte di quella che ho usato per la ragazza del bosco di Bomarzo. Immagino che non sia difficile per voi accertare la veridicità di quanto io stia dicendo, chiunque abbia un televisore in casa sa che le tracce del DNA restano dappertutto.

Presumo che, oltre alle loro, ci siano anche le mie, ma non mi preoccupa, perché almeno per un po’ non riuscirete ad associarle a me.

Presumo anche che farete analizzare ogni mia parola, magari cercando di capire cosa mi sia inventato e cosa sia vero. Dal mio modo di esprimermi avrete già intuito i miei studi e mi avrete collocato all’interno di un certo ceto sociale. Sappiate che mi dispiace, non era mia intenzione obbligarvi a un tale dispendio di energie.

Forse mi sto attribuendo più importanza di quanta ne meriti. Forse non darete peso a questa lettera. È possibile. Non so come funzionino queste cose, seguo poco la cronaca e leggo solo gli articoli che parlano di me. Non per vanità, perché è necessario.

Sono una persona semplice, non ho un passato complicato da analizzare. Che io sappia, non ho avuto traumi infantili e non ricordo di essere mai stato picchiato da nessuno o di avere subito abusi di alcun genere. I miei genitori mi volevano bene e mi hanno cresciuto al meglio delle loro possibilità. Non mi è mai mancato niente.

Io per primo ho cercato delle risposte, ma non ce ne sono.

Detto questo voglio che sia chiaro che il sesso non ha niente a che fare con quello che faccio. Non sono uno di quegli svitati che provano piacere nel far soffrire la gente.

Non vado fiero di quel che faccio e non cerco pubblicità.

Però devo farlo, e so che lo farò ancora. Non vorrei, ma è così. È una certezza. Temo di essere nato sbagliato, il fatto che io lo ammetta non significa che mi piaccia. Ma questa è la situazione. Punto.

Credo che sia arrivato il momento di dirvi perché lei, e non altri. Intanto è giusto che sappiate che ho scelto solo donne per vigliaccheria. Perché erano deboli e minute, e anche così è stato faticoso legarle. Un uomo è più complicato da gestire. Oltre alla forza fisica è anche più difficile da avvicinare.

Vorrei anche che capiste che non ho ricordi precisi del passato, ve l’ho detto, sono nato sbagliato. Continuo a ripetermi, scusate. Il freddo mi crea confusione in testa. Non sono capace di distinguere cosa sia vero e cosa frutto della mia immaginazione.

Per questo voglio parlarvi di lei finché ne ho un ricordo vivo. Credo di doverglielo. Martedì sera l’ho vista mentre faceva benzina dal distributore di Ponte Nuovo. A proposito, se vi dovesse servire, ho buttato nel campo dietro alle pompe di benzina il suo cellulare. Era sola, anonima. Non sembrava atletica ed era piccola di statura. Dalla targa della macchina avevo capito che provenisse dal sud, ma per esserne certo le ho chiesto un’indicazione stradale, e il suo accento me ne ha dato conferma.

Non vi dirò altro sul come io abbia agito, sappiate solo che mercoledì pomeriggio era legata davanti a me.

L’ho guardata a lungo, ha combattuto, non si dava per vinta. Non credeva nella forza della corda, non credeva che stesse succedendo proprio a lei.

Non credeva che fosse vero.

Pensava che a un certo punto l’avrei liberata, e in effetti è successo, ma ormai l’osso del collo era rotto.

Fino all’ultimo ho sempre visto nei suoi occhi un barlume di speranza. Nascosto dietro alla paura, alle domande. Forse all’odio.

Non penso che abbia mai davvero creduto che sarebbe morta.

Sono tutte uguali, è stato così per la ragazza del faro delle Secche di Vada ed è stato così anche per quella del bosco di Bomarzo.

Fino alla fine c’è sempre una speranza, è nella natura umana, credo.

Non sarà così per me, perché farò in modo che sia rapido e preciso.

Dovrò soffrire, però, mi sembra corretto. Ho procurato tanto dolore, penso di meritarlo. Vi racconto una cosa, l’ultima. Non so se sia successo davvero e, se è successo, non ricordo quando. Ma ricordo di aver preso la corda e uno sgabello, di aver posizionato il tutto davanti allo specchio. Volevo guardarmi negli occhi, vedere il mio comportamento. Avrei sperato fino all’ultimo? Avrei combattuto mettendo in discussione la forza della corda? Il sopraggiungere della morte? Non so come sia andata a finire, ma sono ancora qui. È sufficiente a dimostrare di che pasta sono fatto.

Sta nevicando ancora, fuori c’è una tormenta.

Odio la neve, anche se è bella da vedere. Ha qualcosa di pulito. Tutto quel bianco fa sembrare il mondo un bel posto. Tutto questo freddo invece lo rende un inferno.

Parlare con voi ha dato un senso all’attesa, ha spezzato il silenzio. Vorrei potervi dire che non sentirete più parlare di me, ma so che non sarà così.

A questo punto non ho altro da aggiungere, leggerò i giornali e aspetterò.

Ho tanti difetti, è vero, ma non so mentire. Non volutamente, se non altro.

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Pubblicato da lincredibilestoria

Sono nato a Genova nel 1973 e sono sempre vissuto a Pieve Ligure, nel Golfo Paradiso, dove tuttora vivo con mia moglie e i miei due figli. Laureato in Economia Marittima e dei trasporti sono impiegato nel settore del commercio. Appassionato di musica e letteratura, negli anni 90 ho realizzato con alcuni amici il sito web www.luciobattisti.net, ossia il primo sito web dedicato a Lucio Battisti, purtroppo oggi non più attivo. Il mio primo romanzo “L’incredibile storia di Marrazzo che non credeva ai fantasmi” (LFA Publusher, 2019) è stato finalista della seconda edizione del concorso “Romanzi in cerca di autore” realizzato da Passione Scrittore in collaborazione con Mondadori Store e Kobo Writing Life. Il secondo, “Frammenti di razionale confusione” (New-Book Edizioni, 2019), uscito nel solo formato digitale, è menzionato speciale del secondo Concorso Letterario New-Book Edizioni. Nel 2020 un mio racconto dal titolo "Vicoli" viene incluso nella collana "Racconti liguri. Vol. 2" (Historica Edizioni EAN: 9788833372013) grazie al concorso indetto dalla Historica Edizioni "Racconti liguri 2020". Il primo volume dell'antologia "Un Natale Horror 2020" (ISBN 9798581288856 - letteraturahorror.it) contiene un mio racconto dal titolo "Alcune distrazioni". Nella raccolta "Corde, delitti e altri misteri" (ISBN ‎ 979-8784705129 - #autorisolidali, dicembre 2021) è incluso un mio racconto dal titolo "La ragazza della cisterna di Ponte Vecchio". "Il racconto di un piccolo cane" appare nell'antologia "Letteratura per il nuovo millennio" (ISBN 978-88-946367-8-9 - QUIA Edizioni, giugno 2022). "Storie di treni, di stazioni e di esplosioni" è inserito nella raccolta della ivvi.it "Scrittori italiani, libro rosso" (settembre 2022). Nel novembre del 2022 la Brè Edizioni pubblica "C'era una volta Lorenzo - Gli ultimi istanti di un uomo sbagliato" (ISBN-13 ‏ : ‎ 979-1259702838), finalista della sesta edizione dell’iniziativa letteraria Fai viaggiare la tua storia, organizzata da Libromania con la collaborazione di De Agostini Libri. Dalla collaborazione con il Centro Studi Storie di Jeri, che si occupa di storia locale inerente ai comuni di Bogliasco, Pieve Ligure e Sori, nasce la pubblicazione del saggio "La favola del castello di Pieve Ligure" nel XV Volume dei Quaderni di Storia Locale (Novembre 2023). La giuria del Premio Letterario Internazionale Casinò di Sanremo Antonio Semeria ha scelto il racconto "Dall’alba al tramonto" per essere inserito nell’antologia dedicata al centenario calviniano dal titolo Camminando sul sentiero dei nidi di ragno (De Ferrari, EAN 9788855036320, Dicembre 2023).