Dall’alba al tramonto

La giuria del Premio Letterario Internazionale Casinò di Sanremo Antonio Semeria ha scelto il mio testo Dall’alba al tramonto per essere inserito nell’Antologia dedicata al centenario calviniano dal titolo Camminando sul sentiero dei nidi di ragno (De Ferrari, EAN 9788855036320).

La bella copertina di Marco De Angelis

Ne sono molto orgoglioso perché si tratta di uno dei miei racconti a cui tengo di più.

Eccolo…

I bambini si erano dati appuntamento alle sette del mattino davanti al vecchio lavatoio. Il primo ad arrivare era stato Andrea, che anticipava sempre tutti e poi si lamentava dell’attesa.

Ad Andrea non piaceva stare solo e quando capitava, per farsi coraggio, diceva a voce alta tutto quello che gli passava per la testa. Dopo aver elencato le parolacce che conosceva, non sapendo più che fare, si era messo a bere. E siccome gli altri non arrivavano, per passare il tempo, aveva bevuto in continuazione. L’acqua usciva da una testa d’uomo di marmo, per questo Andrea aveva messo in chiaro, sempre a voce alta, che lui da quella bocca beveva solo perché era fatta di pietra.

In quel momento erano arrivati Francesco e Massimiliano, e per l’occasione si erano portati dietro Giuseppe, un cugino di Torino venuto qualche giorno al mare. A questo punto mancava solo Walter, ma lui era sempre in ritardo.

Andrea e Francesco erano compagni di classe e spesso, dopo i compiti, giocavano insieme. Massimiliano provava sempre a mettersi in mezzo, fosse stato per Andrea lo avrebbe tagliato fuori senza il minimo rimorso, ma i genitori di Francesco lo obbligavano a occuparsi del fratello più piccolo quando non c’erano. E siccome erano tutto il giorno al lavoro, alla fine Andrea aveva quel rompiscatole sempre tra i piedi. Di Giuseppe, invece, non sapeva cosa pensare. Aveva un anno meno di lui, ma sembrava più grande. Diceva in continuazione a Torino qua e a Torino là, a parte questo, non era male.

Matteo era intonato, solo intonato. Però sapeva suonare la chitarra elettrica. Non era Pat Metheny, come gli piaceva dire, ma suonava meglio di tanta altra gente. Da quando i quaranta erano passati, se gli chiedevano che lavoro facesse, lui rispondeva che era una specie di compositore. Per tanti anni si era definito un musicista, lo aveva fatto scrivere anche sulla Carta d’Identità alla voce Impiego, quando ancora la Carta d’Identità era di carta e conteneva informazioni di questo genere. Il solo fatto di avere avuto uno di questi cimeli nel portafoglio dimostrava che gli anni migliori per Matteo erano passati. A lungo si era rifiutato di ammetterlo, poi a un certo punto aveva smesso di importargli. Il grande momento non sarebbe arrivato, tanto valeva farsene una ragione.

Matteo componeva motivetti per le pubblicità e suonava nei locali o alle sagre di paese. A volte pensava che suonando in strada avrebbe guadagnato di più e che avrebbe dovuto cercarsi un vero lavoro, come diceva Silvia. Da ragazzo, prima che i cd soppiantassero i vinili, sognava di pubblicare un 33 giri, era sicuro che sarebbe successo. Avrebbe inciso una decina di canzoni, non di più perché i dischi lunghi lo annoiavano, e il lato B sarebbe stato il più bello. Nel lato A sarebbero finite quelle quattro o cinque porcate necessarie per accaparrarsi la simpatia della gente, e alla fine avrebbe fatto tutti contenti, pubblico e critica. Aveva immaginato anche la copertina, si sarebbe fatto fotografare su una scogliera, nudo e di spalle, mentre contemplava l’orizzonte al tramonto. Le cose non erano andate così. Con grande fatica Matteo era riuscito a fare ascoltare i suoi provini al conduttore di una radio locale, un contatto tira l’altro e, dopo un paio d’anni di niente, gli era arrivata questa strana proposta. Il direttore di un’agenzia pubblicitaria aveva ascoltato il suo materiale e lo aveva ritenuto perfetto per un progetto che aveva in mente. Matteo si era indignato e non aveva nemmeno risposto. Dopo una brutta lite con Silvia, però, era tornato sui suoi passi.

Non era stato facile accettare che il suo pezzo migliore facesse da colonna sonora a un prodotto decongestionante per mantenere le mucose morbide e idratate. Ma, come diceva Silvia, di soli sogni non si vive, per cui aveva firmato il contratto. Visto poi che le bollette andavano pagate, quello che doveva essere un compromesso straordinario si era trasformato nella sua principale fonte di reddito.

Senza che se ne accorgesse il tempo era volato: i negozi di dischi avevano chiuso, le applicazioni dei cellulari avevano preso il posto dei cd, e Matteo era arrivato a quarantanove anni con all’attivo un centinaio di successi tra fazzoletti di carta, caramelle e merendine. La sua musica in qualche modo era arrivata alla gente e, anche se non veniva cantata negli stadi, qualcuno che la fischiettava in giro c’era sempre.

Adele si era alzata prima dell’alba. Questa volta non era colpa del camion della spazzatura o dei dolori. Doveva andare in bagno, ma non era nemmeno per questo. La sera prima aveva faticato ad addormentarsi, di solito le bastava leggere poche pagine, invece l’agitazione le aveva tenuto la testa impegnata. Aveva dormito poco, sentiva gli occhi pesanti e il bisogno di riposare ancora, ma ormai il sonno era passato.

Adele aveva sempre avuto difficoltà a gestire le emozioni, era una donna risoluta e testarda, due caratteristiche di cui andava fiera, ma era anche orgogliosa, e questo le aveva creato molti problemi. A novant’anni pregi e difetti si confondevano, e qualsiasi cosa le sembrava complicata. Era in salute e non passava giorno che qualcuno non le dicesse quanto fosse fortunata o da invidiare. Non poteva certo chiedere di più. La sua era stata una bella vita, se Dio voleva sarebbe arrivata anche a cento anni, e magari li avrebbe persino superati. La morte era una figura discreta che l’accompagnava ormai da tanto tempo, la spaventava, ma non ne era ossessionata. Prima o dopo sarebbe arrivata, non valeva la pena di perderci la testa. Il dolore, invece, era qualcosa con cui non riusciva a convivere, negli ultimi anni aveva visto tante persone prima invecchiare poi morire, alcune ammalarsi, altre spegnersi senza complicazioni. Aveva sofferto e visto soffrire: di questo era stanca. Le sarebbe piaciuto vivere quel che le rimaneva con più leggerezza, senza angosce e paure. Scherzando diceva che un po’ di demenza senile le avrebbe fatto bene.

Dopo essersi lavata Adele aveva scelto gli abiti e i gioielli con cura, si era vestita e pettinata a lungo davanti allo specchio del bagno. Era sempre stata vanitosa e non aveva smesso di esserlo. Da ragazza non era bella, ma l’eleganza aveva ovviato al difetto, e gli ammiratori non erano mancati. Invecchiando, quelli che in gioventù erano stati lineamenti normali, invece di appesantirsi, avevano acquisito fascino e le avevano donato la bellezza che nel passato era mancata.

Quando lo specchio aveva restituito un’immagine accettabile Adele si era spostata nel salotto, una stanza dove non entrava quasi mai, e lì era rimasta seduta con le mani in mano. Era ancora presto, ma non aveva altro da fare, se non aspettare.

Walter si era svegliato intorno alle quattro e mezza quella mattina e da quel momento non era più riuscito a dormire. Quando il padre lo aveva chiamato per la colazione era corso in cucina, ma aveva mangiato un biscotto soltanto. Aveva lasciato tutto il latte nella tazza, l’eccitazione gli aveva tolto l’appetito. Dopo essersi lavato i denti in fretta e furia era uscito di casa, siccome però era ancora presto, si era seduto su un muretto e aveva guardato le lancette dell’orologio girare. Aveva ripensato a quando, tempo prima, lui Francesco e Andrea erano risaliti lungo il percorso di un torrente. Era stato un successo. In realtà all’inizio le cose si erano messe male, Walter aveva detto che conosceva quel torrente come le sue tasche e che, da solo, era arrivato fino alla sorgente, ma non era vero. Dopo un’ora di cammino faticoso, tutto stava per capitolare, soprattutto a causa di Andrea che si era graffiato tra i rovi e non la smetteva di protestare. Per fortuna avevano trovato un laghetto sotto una piccola cascata, e lì avevano trascorso la giornata facendo il bagno e provando a prendere le anguille.

Alle sette in punto Walter aveva ritenuto che fosse passato abbastanza tempo affinché tutti fossero presenti al suo arrivo, così si era messo in cammino. Cinque minuti più tardi era anche lui davanti al lavatoio. Dopo un saluto veloce, senza curarsi di essere seguito, si era diretto verso la scogliera.

«Non vorrai tornare al laghetto!», aveva protestato Andrea.

«Certo che no», aveva risposto Walter, «andremo in un posto di cui ho sentito parlare, ma non voglio rovinarvi la sorpresa».

Giunti alla scogliera i bambini si erano arrampicati su una roccia a picco sul mare.

«Scendete da lì o chiamo i vigili», aveva gridato una signora. Con lei c’era un cane che non la finiva di abbaiare. Walter, invece di seguire l’ordine, si era calato i pantaloni e aveva mostrato il sedere.

«Maleducati!», aveva urlato la signora, perché anche Francesco e Andrea avevano scoperto le natiche.

Dalla cima della roccia cominciava il muro di cinta del parco di una villa, ignorando le lamentele della signora Walter lo aveva scavalcato. Gli altri lo avevano seguito ma, nello scendere, Massimiliano si era sbucciato un gomito e si era messo a piangere. Quando si era calmato i bambini si erano infilati tra i pini marittimi. Lì Francesco aveva preso da terra una pigna appena caduta e l’aveva portata con sé.

«Aspettatemi un attimo», aveva detto Andrea di punto in bianco, «devo pisciare». Poi era andato dietro a un albero e aveva aggiunto: «Non guardate». Pochi istanti dopo aveva finito, gli altri però erano spariti.

«Non fate scherzi, ragazzi! Dove siete?»

Silenzio.

«Ah ah ah… Non è divertente, dai venite fuori». Il breve momento di panico era stato interrotto dalle risate degli amici che si erano nascosti poco più avanti.

Dopo aver registrato il pezzo che aveva composto per una crema antirughe Matteo aveva preso la busta che aveva trovato nella cassetta delle lettere qualche mese prima. Erano anni che non riceveva qualcosa che non fosse una multa o una pubblicità. Quando l’aveva aperta la prima volta aveva riconosciuto subito la scrittura, apparteneva a una persona importante, a qualcuno che non vedeva da quasi vent’anni, ma per cui provava ancora affetto.

Caro Matteo,

come avrai capito non ho il tuo numero di cellulare. Ti ho cercato su Facebook e su Instagram, ma non ti ho trovato, in compenso in una vecchia rubrica telefonica (ne conservo ancora una, ci credi?) ho trovato il tuo indirizzo di casa.

Ho preso un foglio di carta e quello strano oggetto che non toccavo da decenni chiamato penna. Con molta fatica, rischiando l’epicondilite, sono riuscito a scriverti. Ho il dubbio che non esistano più i francobolli, ma se stai leggendo questa lettera significa che in qualche modo sono riuscito a spedirla.

Lo so, è passato un secolo dall’ultima volta che ci siamo visti, così ho pensato che la Cresima di Sergio possa essere una buona occasione per rivederci. Sarà a fine settembre, quindi hai tempo per pensarci su.

È giusto che tu sappia che Veronica ha invitato anche Maddalena e Silvia. Spero che questo non ti crei problemi e che tu venga lo stesso.

Nella busta troverai anche il mio biglietto da visita, così se vorrai potrai chiamarmi. Mi farebbe davvero piacere sentirti.

Ti abbraccio,

Giuliano

PS: giuro che nessuno ti chiederà di cantare il motivetto dello spray nasale…

Matteo aveva escluso di accettare l’invito, però aveva memorizzato il numero di Giuliano sul cellulare, con l’idea di ringraziarlo comunque. Tuttavia, ogni volta che aveva provato a chiamarlo, aveva sentito un misto di eccitazione e ansia, e a furia di rimandare era arrivato il giorno della Cresima, senza che la telefonata fosse mai stata fatta.

Gianni non guidava più da molti anni. La sua passione per le auto era racchiusa in una foto appesa al muro che lo raffigurava in Riviera, giovane e su una Ferrari d’epoca. La guardava nei momenti di nostalgia o quando era di cattivo umore, come adesso. Aveva appena avuto una discussione con Emilia, lei aveva preteso troppo, e lui aveva risposto con un secco no alla sua domanda. Così Emilia gli aveva sbattuto la porta in faccia, ma solo dopo averlo chiamato vecchio testone. Ai tempi della fotografia era un uomo altezzoso e sicuro di sé, ora era solo un vecchio testone, proprio come aveva detto Emilia. Un uomo debole a cui i giovani cedevano il posto negli autobus, storcendo il naso per l’odore della pelle.

Una decina di anni prima, poco dopo la morte di sua moglie Ines, Gianni aveva contattato Emilia, una donna più giovane di lui che aveva conosciuto quando ancora era un capo reparto dell’azienda per cui lavorava. In quegli anni lei era un’operaia, e lui aveva attirato la sua attenzione. Non capitava spesso, ma quando si incontravano scambiavano sempre due parole, e i loro sguardi dimostravano attrazione. Rimasto vedovo Gianni, che da solo non era capace nemmeno di far partire la lavatrice, aveva scritto una lettera a Emilia, chiedendole di incontrarla. Lei, che non si era mai sposata, aveva accettato l’invito e qualche mese dopo avevano fissato le nozze.

La presenza di Emilia era stata importante, Gianni si era riscoperto capace di provare sentimenti che aveva dimenticato, e il cuore gli si era addolcito. L’affetto per Ines non era variato, Emilia lo aveva sempre incoraggiato, anziché ostacolarlo. Questa volta però aveva esagerato: aveva contattato Adele, la sorella di Ines, con cui Gianni non parlava da così tanti anni che nemmeno ricordava perché.

Massimiliano si stava divertendo. Andrea non perdeva occasione per lamentarsi, ma per lui tutto era perfetto. Tutto, escluso l’incidente del gomito. Aveva fatto una figuraccia, lo sapeva, ma ormai era andata così. In fondo era il più piccolo del gruppo, anche se, escluso Andrea, gli altri non glielo facevano pesare. Walter, soprattutto. Lui era il migliore. Quando Massimiliano aveva pianto, non solo non lo aveva preso in giro, ma aveva detto ad Andrea di piantarla, visto che aveva cominciato a sfotterlo. Andrea era un cretino, ma a Francesco, chissà perché, era simpatico. Quando erano insieme diventava un cretino pure lui, e trattava Massimiliano nel peggiore dei modi. Una volta lo avevano legato nudo sul balcone di casa e Lidia, una sua compagna di scuola, lo aveva visto. L’umiliazione era stata così forte che Massimiliano non le aveva più parlato. Nonostante ciò, non aveva fatto la spia e non aveva detto niente ai genitori.

Francesco si stava vergognando, Massimiliano si era messo a piangere per uno stupido gomito sbucciato e lo aveva messo in imbarazzo davanti agli amici. Andrea ormai era abituato ad avere tra i piedi suo fratello, ma Walter no. Nessuno lo diceva, ma se c’era un capo nel gruppo quello era Walter, era il più grande e aveva tantissimi amici. Ovunque andasse c’era qualcuno con cui si fermava a parlare. E poi si inventava sempre qualcosa di divertente da fare. Francesco era onorato di far parte del suo gruppo e aveva paura di esserne escluso. Ecco perché non era contento di aver portato Massimiliano, ma non aveva avuto alternativa, soprattutto oggi che Giuseppe era con loro. Meno male che almeno c’era lui! Giuseppe era simpatico e spiritoso, in più viveva a Torino, e lì succedevano tantissime cose strane. Francesco era sicuro che, grazie a Giuseppe, Walter e Andrea avrebbero patito meno la presenza di Massimiliano.

Per Massimiliano la delusione più grande era stato Giuseppe. Quella mattina aveva smesso di considerarlo, mentre rideva a ogni stupida battuta di Andrea. Era per questo che non era riuscito a trattenere le lacrime, ma ormai era tutto passato, la giornata si era trasformata, addirittura Andrea era stato il bersaglio di uno scherzo, mentre lui era diventato un componente importante del gruppo. Infatti, dopo che i cinque bambini si erano lanciati due o tre volte una pigna come se fosse un pallone, Walter gli aveva chiesto di cercare un sasso per rompere i pinoli, e Massimiliano ne aveva portati cinque, uno a testa. A dire il vero erano stati più i pinoli che avevano distrutto di quelli che avevano mangiato, ma nessuno ci aveva fatto caso.

Francesco adesso era più tranquillo, Walter non si era scocciato per i capricci di Massimiliano, anzi gli aveva dato qualcosa da fare, e lui aveva smesso di rompere. Era la prima volta che Francesco entrava in quel parco ed era un posto bellissimo. Era anche la prima volta che entrava senza permesso in una proprietà privata, non aveva mai fatto niente di illegale. Era rimasto stupito da come sia Giuseppe, sia Andrea non si fossero preoccupati delle possibili conseguenze. Se qualcuno li avesse visti? Prima era stato maleducato con quella signora, si era fatto trascinare, era stato divertente, ma pericoloso. E se avesse davvero chiamato i vigili? Cosa avrebbero detto ai loro genitori? Francesco era eccitato, non aveva paura. Con Walter ogni giorno era un’avventura. In fondo cosa poteva succedergli in quel parco?

I pini marittimi avevano lasciato il posto alle agavi e a un sentiero sabbioso che scendeva verso il mare. Da lì si vedeva l’intera baia. Walter aveva indicato agli altri l’ingresso di una grotta.

«Entreremo da quell’apertura laggiù. È stretta, ma dovremmo passare senza difficoltà».

«Francesco ha portato la torcia», aveva detto Massimiliano, «dopo la casa abbandonata la portiamo sempre».

Un paio di mesi prima Walter, Andrea e Francesco erano entrati in una casa abbandonata e a causa del buio erano subito usciti. Qualche giorno dopo erano tornati con le torce, ma avevano trovato i muratori che stavano mettendo i ponteggi. Massimiliano non era con loro, ma aveva sentito quella storia tante di quelle volte che era come se l’avesse vissuta anche lui.

«La grotta era un arsenale durante la Seconda guerra mondiale», aveva concluso Walter, «se siamo fortunati troviamo qualche fucile».

Matteo aveva avuto un colpo di sonno, ma per fortuna non era successo niente. Si era fermato a bere un caffè e aveva riposato qualche istante prima di ripartire. Quando era arrivato all’uscita dell’autostrada aveva visto il mare, ed era stato dolce e amaro allo stesso tempo. Arrivato in Riviera aveva posteggiato la macchina ed era sceso in scogliera. Aveva visto cinque ragazzini entrare nella grotta e gli era sembrato di rivedere il suo passato: quante volte anche lui con gli amici aveva scavalcato il muro della villa per andare laggiù.

Qualche ora prima, dopo aver riletto la lettera di Giuliano, lo aveva chiamato. Poi era partito. Ora che si trovava davanti al suo mare si chiedeva cosa sarebbe successo ritrovando i vecchi amici. Li aveva lasciati quando aveva tutta la vita davanti, quando i sogni potevano avverarsi e il successo era una certezza del domani. Era partito con una moglie e una figlia che credevano in lui, adesso tornava da solo.

Più ci pensava e più capiva di essere stato egoista. Per un sogno, che tra l’altro non si era realizzato, aveva costretto Silvia e Maddalena a seguirlo, senza curarsi di ciò che fosse giusto per loro. Silvia si era rifatta una vita, aveva anche avuto un’altra figlia, ma Maddalena era la sua bambina. Per lei avrebbe dovuto combattere, invece l’aveva persa. Ormai, però, non aveva senso colpevolizzarsi.

Ad Adele facevano male i piedi. Aveva indossato le scarpe più belle che aveva, non le metteva dal battesimo della sua pronipote Sara, tre anni prima. La circolazione del sangue non era più quella di una volta e i piedi si erano deformati. Assillata dal dolore aveva pensato a ciò che l’attendeva. Come avrebbe reagito rivedendo il marito di sua sorella? E lui, come si sarebbe comportato? Li legava solo il ricordo di Ines e la caparbietà di Emilia. Tra loro non c’era stata mai una manifestazione di affetto, Adele non ricordava di avergli mai stretto la mano, quindi un abbraccio era fuori discussione. Per cortesia gli avrebbe porto la mano, niente di più. Poi avrebbe lasciato l’incombenza di decidere cosa fare a Emilia, del resto era stata lei a organizzare l’incontro, era il minimo che potesse fare.

Emilia era infuriata, non tanto con Gianni, anche se era con lui che se l’era presa, quanto con se stessa. Continuava a pensare a quei ragazzini maleducati che l’avevano umiliata solo perché si era preoccupata per loro. Era così offesa che le veniva da piangere. Avrebbe voluto parlarne con Gianni, invece avevano litigato e ora non le restava che accarezzare Dick per tirarsi su di morale. Perché aveva organizzato l’incontro con Adele? Per onorare il ricordo di Ines, che nemmeno aveva conosciuto? Per tenere a bada la coscienza, perché Gianni era stato sposato con un’altra donna? Per vedere fino a dove sarebbe arrivato per accontentarla? Proprio non sapeva darsi una risposta. A causa sua due persone che non volevano vedersi si sarebbero incontrate. Sentendosi in colpa aveva deciso di andare a parlare con Gianni. Non gli avrebbe chiesto scusa, ma in qualche modo avrebbe sistemato tutto. Poi avrebbe chiamato Adele, e alla fine tutti si sarebbero sentiti sollevati.

Gianni si era calmato. Quasi non si riconosceva, prima di Emilia una cosa così non sarebbe passata per settimane. Non era sicuro che questo nuovo Gianni gli piacesse, ma non poteva farci niente. Emilia aveva sbagliato, anche se lo aveva fatto a fin di bene. Tutto sommato si trattava solo di una breve visita, avrebbe dovuto fare buon viso a cattivo gioco per un’oretta. Tanti anni prima, in un momento di rabbia, aveva detto a Ines che Adele, anche se si lamentava per ogni piccolo acciacco, li avrebbe seppelliti tutti. Questo commento, anziché alimentare la discussione, aveva fatto ridere Ines. Gianni ne era tuttora convinto: Adele avrebbe seppellito anche lui, e pensando a questo con un sorriso, era andato da Emilia.

Giuseppe aveva paura degli spazi stretti. La sua non era una vera e propria fobia, era in grado di controllarsi, ma se avesse potuto scegliere non sarebbe entrato in quella grotta. Dopo che Walter si era infilato nell’apertura sia Francesco sia Andrea lo avevano seguito senza battere ciglio. Non potendo lasciare per ultimo Massimiliano lo aveva fatto passare avanti e, a quel punto, si era fatto violenza ed era entrato anche lui. Il passaggio era tortuoso, inoltre la torcia di Francesco faceva pochissima luce. A Giuseppe sembrava di essere in un film dell’orrore, tra ragnatele che gli si appiccicavano ai capelli e insetti che gli ronzavano intorno. Ma la cosa più difficile da sopportare era l’odore di escrementi, Giuseppe aveva la continua sensazione di calpestarli.

«Devo pisciare un’altra volta», Andrea aveva rotto il silenzio e la sua voce aveva fatto eco. «Ho bevuto troppo perché non arrivavate più, non è colpa mia», si era giustificato.

Giuseppe aveva sentito lo scroscio dell’urina che sbatteva contro la roccia e gli era sembrato che alcuni schizzi gli fossero finiti addosso. Faticando aveva respinto un conato di vomito. «Voi non sentite puzza?», aveva chiesto con vergogna.

«D’estate dalla baia vengono a cagare qui dentro perché è riparato», era stata la risposta di Walter.

«La sorella di Andrea ci viene anche per altri motivi», aveva aggiunto Francesco ridacchiando, «ogni volta con un ragazzo diverso».

«Cretino!», aveva risposto Andrea, anche lui ridendo.

«Intanto però su questo muro ci sono le sue iniziali», Francesco aveva indicato con la torcia una delle tante scritte sulla roccia.

«Quanto manca?», Giuseppe non ne poteva più.

«Credo poco», aveva risposto Walter.

All’improvviso la luce della torcia si era spenta.

«Merda!», a imprecare era stato Francesco, «Sono finite le batterie».

Con il buio il disagio di Giuseppe era aumentato.

«Fai sempre lo stesso scherzo imbecille», si era lamentato Andrea, «riaccendi la torcia prima che tuo fratello se la faccia sotto».

«Io non mi faccio sotto proprio niente», aveva protestato Massimiliano.

Quando Francesco aveva riacceso la torcia Giuseppe, invece di tranquillizzarsi, aveva iniziato a tremare.

«Va tutto bene?», si era preoccupato Massimiliano.

«Sì», aveva mentito lui.

«Ragazzi», a parlare era ancora Andrea, «non so cosa dirvi, ma mi scappa di nuovo».

«Ora te la tieni», l’ordine di Walter era stato perentorio, «altrimenti non arriviamo più».

Grazie al cielo una decina di metri più avanti la grotta era bloccata da una parete. Giuseppe era rimasto indietro, mentre gli altri avevano perlustrato la zona. C’era solo un piccolo slargo dove l’odore di escrementi era più forte che mai.

«Che schifo!», Francesco aveva illuminato dei cartoni che erano serviti da giaciglio per qualche senzatetto. Oltre ai cartoni c’erano soltanto lattine, scatolette arrugginite e mozziconi di sigaretta.

«Che bel fucile!», aveva commentato sarcastico Andrea.

«È meglio tornare indietro», aveva concluso Walter deluso.

Dopo quelle parole Giuseppe aveva smesso di tremare e aveva ripreso a sentirsi bene. Tra poco sarebbero tornati all’aperto, magari avrebbero trovato un pallone da qualche parte e avrebbero fatto una partita a calcio. E allora sì che si sarebbero divertiti, altro che grotte e fucili!

«Questo posto è un cesso, tanto vale onorarlo con una bella pisciata», aveva detto Andrea.

«Sei peggio di mio nonno», lo aveva sfottuto Walter.

«Tuo nonno riesce a fare questo?», il getto dell’urina di Andrea era passato dai cartoni, che ormai aveva inzuppato, ai piedi di Walter.

Tra le risate di tutti Andrea aveva continuato a liberarsi, dicendo a gran voce che non si sarebbe mai più fidato di Walter. Giuseppe, che adesso si era rilassato, era sicuro che, nonostante tutto, alla prossima occasione Andrea sarebbe partito di nuovo all’avventura, e che se ne sarebbe lamentato di sicuro.

Il taxi si era fermato davanti al piazzale della chiesa, ne erano scese una donna e una bambina. La donna aveva pagato la corsa, poi aveva preso la bambina in braccio e si era avvicinata al sagrato. Invece di entrare era rimasta alcuni istanti ferma, poi si era girata e si era diretta verso il vicolo che affiancava la canonica. Aveva messo giù la bambina e l’aveva lasciata camminare da sola. Aveva respirato con affanno, indecisa tra il proseguire e il tornare indietro. La bambina, intanto, aveva perso l’equilibrio ed era caduta in terra. «In braccio, mamma», aveva detto singhiozzando.

La donna era stanca, così le aveva dato la mano e l’aveva aiutata a camminare. «La mamma sta solo prendendo tempo», le aveva detto, sapendo che non avrebbe capito, «ma ora ci facciamo coraggio e andiamo».

«Dove?», aveva chiesto la piccola e, senza aspettare risposta, aveva aggiunto: «Ho fame».

«Fa’ la brava, Carlotta», aveva sussurrato la donna, allungando il passo. La voce le era tremata e, per un attimo, aveva pensato di andare a cercare un taxi. Invece era tornata davanti alla chiesa e questa volta era entrata senza tentennamenti.

La funzione era quasi finita, e Matteo si stava annoiando. Aveva trattenuto più sbadigli di quanti ne avesse fatti e aveva passato gran parte del tempo a criticare gli errori del coro e a guardarsi intorno senza ascoltare il prete. Era dispiaciuto perché di Silvia e Maddalena non c’era traccia. Non si aspettava grandi cose, ma gli sarebbe piaciuto almeno salutarle. Quando aveva sentito il portone aprirsi si era voltato per curiosità.

I loro occhi si erano incrociati e il cuore aveva cominciato a battere così forte che a Matteo era sembrato di essere un ragazzino innamorato. Solo qualche istante dopo aveva visto la bambina, e lo stupore gli si era disegnato in volto. Senza aspettare che finisse la messa si era diretto verso l’uscita, aveva salutato la donna con un cenno che lei aveva ricambiato. Aveva sentito irrefrenabile il desiderio di abbracciarla e baciarla, ma si era limitato ad aprire il portone, invitandola a uscire.

«Si chiama Carlotta», gli aveva detto Maddalena. Sentire la sua voce lo aveva emozionato fino a inumidirgli gli occhi.

«Carlotta», aveva ripetuto impacciato, guardando la bambina. «Non sapevo che…». Dopo un breve silenzio aveva trovato il coraggio di chiedere alla bambina se sapesse chi fosse, e lei aveva fatto sì con la testa.

«Il nonno», aveva risposto come se fosse una cosa normale.

«Il nonno», aveva ripetuto Matteo, sentendosi stupido.

Maddalena li aveva guardati senza dire niente. Anche lei aveva gli occhi lucidi.

«Grazie», aveva bisbigliato a fatica Matteo. Lei non aveva risposto. «È bellissima», aveva detto sincero, e avrebbe voluto aggiungere “come la mamma”, ma aveva tenuto il pensiero per sé. «Posso offrirvi qualcosa?», aveva chiesto, indicando il bar dall’altra parte del piazzale, e Maddalena aveva risposto di sì.

Mentre camminavano Matteo si era domandato cosa sarebbe successo dopo. Non lo sapeva, ma non era il momento di preoccuparsene. Ora era felice, ed era tutto quello che contava. Il mondo era un bel posto in cui valeva la pena vivere, anche senza un disco con lui nudo in copertina, fotografato di spalle davanti al mare.

Per l’occasione Gianni si era messo al volante. Guidare dopo tanti anni non era una cosa facile, specie in mezzo al traffico, così dopo un paio di chilometri ai venti all’ora, e un paio di clacson alle spalle, aveva accostato la macchina e aveva chiesto a Emilia di proseguire.

Quando il campanello aveva suonato Adele si era alzata e aveva camminato fino all’ingresso cercando di ignorare il dolore ai piedi. Aveva avuto l’impulso di rimanere ad aspettare che Gianni ed Emilia fossero andati via, poi però aveva pensato a Ines e si era fatta forza. Li aveva fatti accomodare al tavolo del salotto, si era seduta anche lei al lato opposto e per fortuna nessuno aveva cercato il benché minimo contatto fisico. Aveva notato che Gianni era ancora un bell’uomo, per quanto le costasse fatica ammetterlo, e che gli anni erano stati clementi con lui. Emilia era più o meno come l’aveva immaginata, a differenza di quanto avesse sperato, però, era imbarazzata e non prendeva in mano la situazione. Dopo aver offerto loro un tè, che avevano rifiutato, Adele aveva atteso che qualcosa succedesse, ma il silenzio era calato nella stanza. Frugando tra i ricordi aveva ritrovato un pomeriggio in cui né lei né Gianni avevano avuto nulla da ridire sull’altro. Questo perché anziché parlare avevano giocato a Scala Quaranta. Così, senza dire o chiedere niente, aveva preso le carte dal cassetto del tavolo e le aveva mescolate con calma. Poi le aveva poggiate davanti a Gianni. Lui, con un’espressione indecifrabile, aveva tagliato il mazzo.

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Pubblicato da lincredibilestoria

Sono nato a Genova nel 1973 e sono sempre vissuto a Pieve Ligure, nel Golfo Paradiso, dove tuttora vivo con mia moglie e i miei due figli. Laureato in Economia Marittima e dei trasporti sono impiegato nel settore del commercio. Appassionato di musica e letteratura, negli anni 90 ho realizzato con alcuni amici il sito web www.luciobattisti.net, ossia il primo sito web dedicato a Lucio Battisti, purtroppo oggi non più attivo. Il mio primo romanzo “L’incredibile storia di Marrazzo che non credeva ai fantasmi” (LFA Publusher, 2019) è stato finalista della seconda edizione del concorso “Romanzi in cerca di autore” realizzato da Passione Scrittore in collaborazione con Mondadori Store e Kobo Writing Life. Il secondo, “Frammenti di razionale confusione” (New-Book Edizioni, 2019), uscito nel solo formato digitale, è menzionato speciale del secondo Concorso Letterario New-Book Edizioni. Nel 2020 un mio racconto dal titolo "Vicoli" viene incluso nella collana "Racconti liguri. Vol. 2" (Historica Edizioni EAN: 9788833372013) grazie al concorso indetto dalla Historica Edizioni "Racconti liguri 2020". Il primo volume dell'antologia "Un Natale Horror 2020" (ISBN 9798581288856 - letteraturahorror.it) contiene un mio racconto dal titolo "Alcune distrazioni". Nella raccolta "Corde, delitti e altri misteri" (ISBN ‎ 979-8784705129 - #autorisolidali, dicembre 2021) è incluso un mio racconto dal titolo "La ragazza della cisterna di Ponte Vecchio". "Il racconto di un piccolo cane" appare nell'antologia "Letteratura per il nuovo millennio" (ISBN 978-88-946367-8-9 - QUIA Edizioni, giugno 2022). "Storie di treni, di stazioni e di esplosioni" è inserito nella raccolta della ivvi.it "Scrittori italiani, libro rosso" (settembre 2022). Nel novembre del 2022 la Brè Edizioni pubblica "C'era una volta Lorenzo - Gli ultimi istanti di un uomo sbagliato" (ISBN-13 ‏ : ‎ 979-1259702838), finalista della sesta edizione dell’iniziativa letteraria Fai viaggiare la tua storia, organizzata da Libromania con la collaborazione di De Agostini Libri. Dalla collaborazione con il Centro Studi Storie di Jeri, che si occupa di storia locale inerente ai comuni di Bogliasco, Pieve Ligure e Sori, nasce la pubblicazione del saggio "La favola del castello di Pieve Ligure" nel XV Volume dei Quaderni di Storia Locale (Novembre 2023). La giuria del Premio Letterario Internazionale Casinò di Sanremo Antonio Semeria ha scelto il racconto "Dall’alba al tramonto" per essere inserito nell’antologia dedicata al centenario calviniano dal titolo Camminando sul sentiero dei nidi di ragno (De Ferrari, EAN 9788855036320, Dicembre 2023).