Storie di treni, di stazioni e di esplosioni

Altro racconto: l’ultimo scritto nei primi anni del 2000 (e non finito), il primo ripreso durante l’esperimento Daniele Enne nel 2014.


Tra il 1999 e il 2004 ho viaggiato molto in treno: da Genova a Brescia, o Milano o Venezia. Per ragioni di cuore. Durante gli spostamenti a volte nascevano delle storie, di solito le appuntavo su foglietti di carta volanti.

Posso dire con sicurezza che l’idea di questo racconto è nata poco prima del settembre del 2001, perché uno dei motivi per cui ne ho interrotto la stesura è stato che l’Undici Settembre ha reso ogni cosa piccola in confronto.

La versione riportata di seguito (pubblicata dalla ivvi.it, nell’antologia Scrittori italiani Libro rosso) raccoglie due racconti rieditati nel 2022: Genova P.P. – Milano C.le (composto in parte nell’aprile 2003 e in parte nel novembre del 2011) e Alcune distrazioni (giugno 2000).

Alcune distrazioni, titolo poi usato per il racconto macabro pubblicato nella collana Natale Horror 2020, risale a un altro periodo in cui mi muovevo molto in treno (in questo caso nei regionali da Pieve a Genova Principe): quello degli studi universitari.

Prima di lasciarvi al racconto riporto la valutazione che Genova P.P. – Milano C.le ha ricevuto dalla Giacovelli Editore, per il contest Milano, città di passaggio o di nuove radici? Come vedrete, l’esito non è stato dei migliori.

Il racconto Genova P.P. – Milano C.le ha totalizzato 48 punti (su un totale di 75 a disposizione dei giurati) così suddivisi: Creatività: 17 ; Stile Narrativo: 18; Sviluppo del tema: 13

I singoli giurati hanno anche espresso le seguenti valutazioni qualitative:

– Molto creativo e interessante da leggere, ma in questa “staffetta” narrativa avrei voluto percepire di più il peso di Milano, capolinea del treno.

– Diario di viaggio, tratta breve e percorso comune in treno verso Milano. Persone comuni, vicende ordinarie e una straordinaria. Fino alla stazione dove i protagonisti si disperdono. 

– Significativo

– Una storia di tutti i giorni 

– Bel racconto, ma c’è troppa persona su una storia che già dalla sua semplicità avrebbe saputo dare di più

Mercoledì, ore 17 e 17

Ecco che comincia questa storia con qualcuno che corre verso il binario 17 della stazione Piazza Principe di Genova. Questo qualcuno ha un nome e un cognome, Riccardo Repetto, un’età, ventinove anni, e un vissuto alle spalle piuttosto comune. Ma tutti questi particolari ci interessano poco, il punto della questione è che l’impiegato Repetto è nettamente fuori forma e sovrappeso, ed è quindi ovvio che la suddetta corsa lo stia affaticando. Comunque sia, eccolo lì che si affretta a percorrere il corridoio ventoso che lo divide dalla sua meta, con l’ottimismo di chi sa di essere baciato dalla fortuna e quindi di poter arrivare in tempo.

Il Regionale per Milano delle 17 e 19 è stato annunciato in orario alle 17 e 25, ma sono passati già un paio di minuti da quando, nel monitor delle partenze, Riccardo ha visto l’orario del suo treno lampeggiare in pole position. Un lunghissimo paio di minuti durante i quali salire la scala mobile è stata un’impresa ardua tra un permesso e un altro. Le voci di corridoio sono tutte per una scossa di terremoto che parecchi, come lui, dicono di aver sentito, pur non avendo sentito proprio niente, e lui le ascolta con attenzione, mentre si trascina imitando un maratoneta. Ha il fiatone, è fradicio di sudore e ha la testa confusa. Le orecchie gli si tappano in continuazione e ha assunto la colorazione di un cadavere di tre ore. I polpacci, già provati da una settimana lavorativa abbastanza stressante, non sembrano più fargli così male, ma non è un bene, è da un po’ infatti, che ha perso la sensibilità in quasi tutto il corpo. Ma è ormai sulla soglia delle scale, e una decina di gradini più in su c’è un altro corridore tutt’altro che rassegnato, il che può significare solo che il treno è ancora sul binario. Certo di arrivare prima della partenza, percorre due scalini alla volta, ma fa giusto in tempo a sentire il fischio del capotreno e a vedere il ritardatario meno ritardatario di lui che salta sull’unico vagone, la cui porta è ancora aperta. Gli si precipita dietro, ma il suono inconfondibile del blocco centralizzato annuncia la sua sconfitta. Desolato, muovendo la maniglia, lancia un’ultima richiesta d’aiuto al tipo che è riuscito a salire prima di lui.

Giovanni respira a fatica e non si è ancora reso conto di essere contento per avercela fatta. Sta provando ad aprire lo sportello e si sente in colpa nei confronti di quel ragazzo grassoccio che lo guarda dall’altra parte del vetro. Una voce scocciata lo esorta a smettere di insistere perché, facendo così, ritarda solo la partenza del treno. Gli ci vogliono più o meno cinque minuti per riprendersi e altrettanti per trovare l’unico posto libero del vagone. Ed è solo quando il treno termina la lunga serie di gallerie che comincia a guardarsi intorno, per vedere chi sono le persone con cui divide lo scompartimento.

Il telefono di una ragazza che gli siede davanti avverte che ha ricevuto un messaggio e ricorda a Giovanni che finalmente può chiamare sua moglie. Non gli passa nemmeno per la mente di raccontarle della corsa che ha fatto per prendere il primo treno disponibile, perché è curioso di sapere se Elena, la loro piccolina, ha pronunciato qualche altra parola. È scocciato per essersi perso il primo gorgheggio di Elena, ma è comunque contento perché sa che ci saranno altre occasioni per festeggiare, adesso che il suo sogno è diventato realtà. Adesso che ha una casa tutta sua poco fuori Pavia, proprio vicino al Po, proprio dove ha sempre sperato, prima ancora che nascesse Elena, che suo figlio crescesse bene com’è cresciuto lui. Adesso che vive con Silvana, la donna che ama e che lo ama. Adesso che ha un lavoro che gli permette di comprare le tende nuove quando sua moglie pensa che sia arrivato il momento di cambiarle, o il televisore da mettere in camera da letto, per addormentarsi accanto a Silvana, mentre lei guarda il film che ha scelto per lui su qualche piattaforma a pagamento.

Certo, fare la spola tra Genova e Pavia non è il massimo, ma almeno ha tutti i fine settimana liberi per dedicarsi alla casa da mettere a posto. Giovanni pensa a questo, mentre ringrazia la Madonna d’oro di Tortona e si sente così felice che, non appena viene annunciato l’arrivo presso la stazione di Voghera, non può fare a meno di aiutare prima una signora a prendere la valigia dal porta bagagli, poi un venditore ambulante in difficoltà con il suo sacco pieno di cianfrusaglie. L’uomo lo ringrazia con un italiano stentato, quindi gli si siede accanto, cercando di tenere fermo il sacco che ha sistemato accanto al finestrino.

Marta guarda l’uomo davanti a sé e prova un forte senso di colpa, ma anche invidia. Invidia per lui, per la madre di sua figlia a cui sta dicendo cose dolci, per il sorriso che ha mentre lei risponde. Per il tono della sua voce che cerca di mascherare, nonostante il viso raggiante ne scopra ogni segreto. È un’espressione che conosce, che si sente fortunata per aver avuto e visto nel suo ragazzo, ma che ora non le appartiene più.

Ha appena ricevuto un messaggio, lo ha guardato combattuta tra l’impulso di far finta di niente e quello di cancellarlo senza nemmeno aprirlo. Come si aspettava proveniva da un numero associato a un nome che ha avuto molta importanza per lei. Ma che oggi è soltanto una lama tagliente che la ferisce ogni volta che la costringe a guardare in faccia la realtà. E la realtà è un telefono che mostra un tentativo di chiamata, prima di essere spento e riposto in borsa.

Chissà se anche la signora all’altro capo del telefono ha provato il suo smarrimento? Chissà se prima di essere così felice da regalare quel sorriso al suo compagno, anche lei ha vissuto l’angoscia di chi vuole liberarsi di un peso? La vergogna nel sentirlo un peso. E la nostalgia per quel sentimento ancora così forte in lui, ma così lontano in lei.

Poche ore prima Marta aveva visto il mare. Quel mare che, per una volta ancora, aveva fermato il tempo, cancellando tutto il malessere. Quel mare che l’aveva cresciuta e che, un po’ padre e un po’ madre, l’aveva coccolata e punita, punita e coccolata. Il suo mare. Lo stesso mare che, nel giro di poche ore, aveva tradito di nuovo, abbandonandolo per tornare a una vita che aveva scelto, ma che non sentiva sua. Per tornare dall’uomo che tanto tempo fa le aveva regalato la vita, ma che adesso la stava perdendo insieme a lei.

Una lacrima le riga il volto, non prova nemmeno a trattenerla, ma una voce gentile la costringe ad affrontare il mondo reale e a lasciare per un attimo i suoi problemi in balia dei pensieri.

Mohamed crede che Fatima sia in ogni donna e quindi che nessuna donna debba piangere per un torto subito. Invece, vicino a lui, una ragazza sta piangendo, ma lei non sa che le sue lacrime sono state già versate da Fatima. Mohamed le ha chiesto perché piange, lei gli ha sorriso e lo ha rincuorato. Va tutto bene, gli ha detto, ma Mohamed sa che non va bene niente. Perché Mohamed non è stupido, e capisce le donne. Le rispetta e le capisce. Così non domanda altro, ma prende un piccolo amuleto, una mano, e lo porge alla ragazza. Lei non sa che è la mano di Fatima, ma Fatima la proteggerà comunque. Invece la ragazza fa cenno di no, ringrazia, ma non accetta il dono. Mohamed però non voleva soldi. Voleva che la ragazza smettesse di piangere, quindi Mohamed è contento lo stesso. Lei non sorride con il cuore, ma almeno lo fa con il volto, è già un progresso.

Mohamed ha appena fatto finta di niente perché il controllore, anche se ha visto il suo biglietto, lo ha sgridato perché con il sacco sta occupando due posti. Gli ha detto di toglierlo, e lui ha finto di non capire, nonostante il calcio dato al sacco, che, italiano a parte, è stato un gesto più che esplicito. Il controllore tornerà, ma adesso deve continuare il giro, e Pavia è vicina. Con il volere di Allah per oggi Mohamed riuscirà a tornare a casa senza grandi complicazioni. Guarda fuori dal finestrino e capisce che l’ora di alzarsi è arrivata, quando la voce della ragazza richiama la sua attenzione. Si sta scusando per essere stata maleducata e lo sta ringraziando per la sua gentilezza. Non fa in tempo a finire la frase che arriva l’esplosione.

Mirco Ribaudo fa il controllore da tredici anni ed è stanco. Ha sempre pensato che per fare il suo lavoro si debba avere una punta di cattiveria e lui ce l’ha. Ma non è per questo che è stanco, lo è perché non gli interessa più niente. Pensa all’ambulante a cui ha appena chiesto il biglietto: lo ha, va bene, ma con quel sacco ruba posto alla gente. Anche se non ci sono persone in piedi non fa niente, il regolamento è regolamento, quel sacco lì non ci deve stare. Mirco Ribaudo però sa che non vale la pena di perdere tempo, quel vagabondo di sicuro non ha il permesso di soggiorno, quindi se anche gli facesse una multa non la pagherebbe comunque. Ecco perché ha lasciato correre, per questo motivo e, soprattutto, perché si sente stanco e non sa nemmeno lui perché. Il lavoro è lavoro, e in qualche modo il controllore Ribaudo deve portare a casa lo stipendio. Lui così ci mantiene una compagna con la sua gattina, una ex moglie con le sue due figlie e suo figlio coi suoi tremila capricci, compreso quel maledetto cane nano che si vuole comprare a tutti i costi. Ma quant’è vero Dio, no! Mirco Ribaudo si è imposto: di un’altra bestia da sfamare, sverminare e vaccinare, non se ne parla nemmeno. Però sono troppe le ore che Mirco passa ad annoiarsi rispetto a quelle in cui si sente pressappoco soddisfatto. Se poi si ferma a considerare quelle davvero meritevoli… be’, meglio lasciar stare. Non esce più la sera, non gioca più a tennis, non legge più. Fa solo le parole crociate. E dire che con sua moglie le cose non avevano funzionato per gli stessi motivi. Allora, però, avevano dato la colpa ai figli. O meglio: Mirco Ribaudo aveva dato la colpa a loro, sua moglie se l’era presa con lui e basta. Nemmeno con quell’idiota che l’aveva messa incinta ben due volte prima di lui.

Chiedere biglietti alla gente non aiuta, specie in un regionale sporco e mal frequentato come questo. In quel posto vuoto, per esempio, poco fa era seduto un ragazzo senza il biglietto, Mirco è pronto a scommetterci la sua ultima busta paga. Appena lo ha visto arrivare si è precipitato in bagno: i controllori a volte fanno questo effetto, sono come i lassativi. Un altro giorno, forse, il buon controllore che è in lui avrebbe insistito e avrebbe bussato alla porta del bagno per stanare quel furbetto. Ma oggi no, oggi Mirco non ne ha proprio voglia.

Il controllore Ribaudo restituisce il biglietto all’anonimo di turno, senza neanche sapere se è uomo o donna, e proprio mentre sta pensando a questo, arriva il rumore dell’esplosione. Spinto da una prontezza che non credeva di avere Mirco si precipita a vedere: il finestrino vicino all’ambulante di prima è in mille pezzi, e una pioggia di vetri ha ricoperto il suo sacco. Con il cuore in gola domanda se si è fatto male qualcuno.

Luigi non ha ancora capito cosa sia successo. Prima che il controllore interrompesse i suoi tormenti stava meditando su come la fortuna gli avesse voltato le spalle. Credeva di aver trovato un libro che cercava da decenni, una vera rarità, era andato addirittura a Pontecurone per comprarlo, ma qualcuno lo aveva anticipato, e tutto era svanito in un battito di ciglia.

Con in mano il biglietto che gli ha appena restituito il controllore, Luigi guarda la gente che fa avanti e indietro. Lo scoppio è stato forte, sembrava un tuono! Forse il vento ha fatto sbattere una porta? Oppure è caduta una valigia molto pesante? No, niente del genere. Piuttosto i commenti della gente dicono che qualcuno, di certo un teppista, ha lanciato un sasso contro il finestrino del treno e lo ha distrutto. Che è un miracolo che non si sia fatto male nessuno.

Spinto dalla curiosità Luigi si alza e va a vedere insieme ad altri curiosi il luogo del misfatto. L’aria che entra con prepotenza nel vagone lo fa rabbrividire, mentre pensa che se non fosse stato per quel sacco ingombrante si sarebbe seduto proprio lì. A quanto pare l’incoerente ostilità della fortuna in questo caso aveva giocato a suo favore, altrimenti adesso sarebbe materiale per un trafiletto della cronaca della Provincia Pavese di domani. Ignorando il chiacchiericcio che lo circonda fa ritorno al suo posto, seguito da una donna che, come lui, ha perso interesse per l’accaduto. Sembra incinta, ma forse non lo è. Magari è solo grassa, non si capisce. Nel dubbio Luigi le tiene la porta dello scompartimento aperta e le sorride facendola passare.

Serena ricambia il sorriso dell’uomo gentile che le ha tenuto la porta aperta. Si siede al suo posto e si tocca la pancia, mentre vede allontanarsi la stazione di Pavia. Inquieta si rifiuta di pensare all’ipotesi in cui si fosse trovata coinvolta in quell’incidente. A dire il vero non si era neanche spaventata, era in bagno, tanto per cambiare stava facendo pipì. Aveva confuso il boato dell’esplosione con il tonfo del treno quando entra in galleria. Se non fosse che in quella zona di gallerie non ce ne sono, non sarebbe nemmeno andata a controllare. Sfogliando le pagine di una rivista prova ad allontanare i cattivi pensieri, lo stress è l’ultima cosa di cui il bambino ha bisogno.

Serena è al quarto mese di gravidanza, e il tri-test non ha dato i risultati sperati. Ha trentacinque anni, non è più così giovane, c’era da immaginarselo. Il ginecologo le ha consigliato di fare l’amniocentesi, ma lei non vuole rischiare. Il suo bambino è un dono di Dio, e Dio sa a che genitori dare i bambini. Nessun peso viene messo sulle spalle di chi non è in grado di sopportarlo. Se Dio vorrà, lei sarà pronta a qualsiasi evenienza e lo ringrazierà comunque. Si alza per andare a fare un’altra volta pipì, ma trova il bagno occupato.

Manuel si lava le mani, poi apre la porta sperando di non trovarsi faccia a faccia con il controllore. Ha passato gli ultimi venti minuti nascondendosi prima in un bagno, poi in un altro. Non ha sentito l’esplosione, non ha idea di quel che sia successo, per cui non sa che il controllore adesso ha ben altro a cui pensare. Al suo posto invece c’è una donna incinta, Manuel le guarda la pancia e sorride istintivamente, mentre lei si chiude la porta alle spalle. Solo quando è sicuro che il controllore non sia nei paraggi si rilassa e si accoda ad alcuni ansiosi che già adesso si preparano a scendere. Appoggiato al finestrino del corridoio segue la campagna trasformarsi casa dopo casa in periferia. Veloce si delinea la città, la sua città: Milano. Manuel rimane incantato a guardarla, è rassicurante, dolce come l’abbraccio di sua madre quando era bambino.

Il treno rallenta ed entra in stazione, poi si ferma. Si aprono le porte e i passeggeri si disperdono tra la folla. Manuel cammina assonnato lungo la banchina, supera il vagone con il finestrino rotto senza notarlo. Pochi minuti dopo è all’ingresso della stazione, appoggiato a una colonna. Si guarda intorno alla ricerca di un volto preciso e quando lo trova gli va incontro senza fretta. Ricambia il veloce abbraccio dell’uomo e risponde alle sue domande, sempre le stesse. Dopodiché padre e figlio si allontanano dalla stazione a passo sostenuto.

Giovedì, ore 10 e 47

Si era fatto svegliare alle 7 e 30, ma l’esame era alle 11. In realtà, quando suo fratello lo aveva chiamato, era già sveglio da parecchio, era rimasto sul letto con lo sguardo perso. Gli succedeva da quando era bambino, si bloccava e pensava. La sera prima un conoscente gli aveva dato una dritta da sfruttare: a quanto pare c’era un professore che permetteva di copiare durante il suo esame. Il conoscente gli aveva dato anche una serie di domande, cinquantasei per la precisione, con relative risposte. Lì in mezzo c’era la chiave per un buon venti, ventuno. Non era un granché, ma per uno studente come lui, era un’ottima opportunità. Anche perché era appena stato bocciato a un esame, nonostante il disperato tentativo di implorare per un misero diciotto. Era già accaduto con altre materie, e a volte gli era anche andata bene. Gli mancava poco per laurearsi, aveva una media ridicola, ma il solo fatto di avere la parola Dottore davanti al nome poteva dargli qualche possibilità in più. Senza contare che presto o tardi, nessuno si sarebbe interessato al suo voto di laurea, mentre il titolo lo avrebbe accompagnato in qualsiasi occasione.

Prima sul letto, poi sotto la doccia e anche mentre faceva colazione, aveva pensato al suo amore, che non lo diceva per non ferirlo, ma era stanca di aspettare ogni anno ancora un solo anno per sposarsi.

Aveva lasciato la tazza mezza piena, non aveva mai appetito prima di un esame, nemmeno quando si trattava di una farsa come in questo caso. Era preoccupato, gli sembrava impossibile, ma valeva la pena rischiare. Tutt’al più sarebbe stata l’ennesima figuraccia, niente di nuovo del resto. Ai genitori aveva detto che sarebbe andato all’università per consultare alcuni testi in biblioteca, e nessuno aveva dato peso alla cosa. Aveva mentito per evitare che ci mettessero su il cuore. Ne aveva parlato solo con il suo amore, ma se n’era pentito. Lei lo aveva sì incoraggiato, ma mascherando speranza, e in caso di esito negativo, ne sarebbe rimasta delusa. Per l’ennesima volta.

Aveva posteggiato la macchina vicino alla fermata dell’autobus nello stesso posto in cui aveva posteggiato per l’esame precedente. Alcuni anni prima avrebbe cercato altrove, ma adesso non badava più alla scaramanzia. Era guarito, come diceva il suo amore scherzando. L’autobus era arrivato subito, e lui era salito di corsa. Si era seduto e, un po’ assonnato, aveva ripreso a pensare. Quando si era accorto di aver perso la fermata, ormai era tardi, ma non si era preoccupato perché aveva molto tempo a disposizione e gli bastava arrivare all’università almeno un’ora prima dell’esame. Aveva camminato fino alla stazione guardando l’orologio in continuazione, non conosceva gli orari dei treni, sapeva solo che all’incirca ogni mezz’ora ne passava uno. Faceva caldo, era quasi estate, e lui avrebbe voluto essere su un’isola greca con il suo amore, in una spiaggia deserta, di quelle con la sabbia finissima e bianca e con il mare azzurro e trasparente. Niente più stress per gli esami, niente più buoni propositi andati a finire male, niente più dispiaceri. Solo lui e lei, e la pace.

Stava obliterando il biglietto, quando aveva visto di sfuggita il treno fermo sul binario. Era corso e, trafelato, era salito su un vagone. Non si era fermato in quello perché c’era un uomo che parlava al telefono a voce alta e lui voleva stare tranquillo. Aveva percorso il corridoio ed era entrato in uno scompartimento silenzioso, si era seduto, mentre il treno era ancora fermo. Si era sentito gli occhi di una donna addosso e si era infastidito, ma nuovi pensieri glieli avevano fatti scordare. Aspettando che seccasse il sudore, si era goduto il fresco che arrivava dal finestrino aperto, e alla fine il treno era partito. La direzione, però, non era quella giusta.

All’inizio aveva pensato che si trattasse di una manovra, poi, non sapendo cosa fare, si era alzato e si era messo a camminare senza meta. Aveva incontrato un controllore e gli aveva spiegato la situazione, più divertito che imbarazzato. Il controllore era stato gentile, gli aveva detto che l’altro treno, quello che avrebbe dovuto prendere, era in ritardo e che forse sarebbe riuscito a prenderlo nella stazione precedente. Intanto il treno aveva cominciato a rallentare, e lui aveva atteso che si fermasse con speranza. Sul binario opposto aveva visto passare un treno e la speranza si era trasformata in rassegnazione.

Una volta sceso aveva controllato se sul marciapiede opposto ci fossero persone, non avendo visto nessuno era uscito dalla stazione. Camminando aveva guardato le macchine passare augurandosi di trovare un passaggio, ma non era successo. Aveva invece preso un autobus, quindi un altro e un altro ancora. Si era seduto tutte e tre le volte e aveva schivato gli sguardi di chi sperava che gli cedesse il posto. Perlopiù aveva pensato al suo amore, ma aveva anche letto alcuni cartelloni pubblicitari e diverse scritte sui muri. Quando infine era arrivato all’ultimo capolinea aveva attraversato un parco ed era entrato nella stazione centrale. Guardando il tabellone degli arrivi si era reso conto che se avesse aspettato il treno successivo a quello che aveva perso sarebbe comunque arrivato a quell’ora.

Mancavano trentotto minuti all’esame, sentendo crescere l’apprensione aveva allungato il passo. Doveva attraversare la stazione, scendere verso i binari sotterranei e da lì avrebbe raggiunto l’università risalendo in superficie. Si era accorto di avere una scarpa slacciata, ma per la fretta aveva preferito non fermarsi. Durante il tragitto una valigia priva del proprietario lo aveva incuriosito, la gente l’aveva schivata con cura, e lui aveva fatto altrettanto. L’aveva guardata con sospetto per poi dimenticarsene subito. Il pensiero della scarpa slacciata invece non gli aveva dato pace, si era immaginato più volte mentre inciampava. Quando poi era salito sulle scale mobili aveva immaginato la stringa che si infilava tra i gradini, a quel punto si era chinato e aveva allacciato alla bene e meglio la scarpa. Poi, fermo tra la gente ferma, aveva pensato male delle persone che non lasciavano lo spazio per far correre chi aveva fretta.

Giunto nel tunnel di raccordo con i binari sotterranei gli era venuto il dubbio che la scala per risalire verso l’università non si trovasse dove credeva, così si era fermato. Indeciso sul da farsi si era guardato intorno: alla fine del tunnel c’erano due poliziotti con un cane antidroga, i cani gli piacevano, ma gli facevano anche paura, per cui si era voltato, ed era tornato indietro. Gli era sembrato di essere in uno di quei sogni dove si cerca di fare qualcosa, ma non ci si riesce mai. Dopo si era infilato in un altro tunnel, sperando che all’uscita ci fosse la deviazione per raggiungere l’università, invece aveva incontrato di nuovo i due poliziotti. Aveva capito così che entrambi i tunnel portavano nello stesso punto. A qualche metro di distanza il poliziotto senza cane gli aveva intimato di fermarsi e così aveva fatto. Aveva dato uno sguardo veloce all’orologio: mancavano poco meno di venti minuti, con un po’ di fortuna, forse, poteva ancora farcela.

Lo avevano raggiunto a metà del tunnel. Il poliziotto che teneva il cane al guinzaglio indossava un cappellino la cui visiera gli nascondeva gli occhi e non appariva rassicurante. L’altro invece aveva il bavero della giacchetta rialzato, per il resto era uguale a un qualsiasi poliziotto che si incontra per strada. Il cane, un pastore tedesco, si rincorreva la coda e, mordendola, mostrava denti capaci di strappare un braccio a una persona.

Non sapeva cosa aspettarsi, non era mai stato fermato dalla polizia finora.

Gli avevano chiesto di vuotare le tasche e di camminare davanti al cane. Avanti e indietro, avanti e indietro, tre volte. Poi gli avevano fatto svuotare lo zaino a terra e lo avevano fatto annusare al cane insieme alle cinquantasei risposte per un venti sicuro e a tutto il resto delle sue cose.

Non c’era stato nessuno scodinzolio, nessuno scoppio di gioia del cane: niente droga, insomma.

Il poliziotto con il cappellino aveva accarezzato il cane, dicendogli bravo cucciolo, quello con il bavero della giacchetta rialzato gli aveva domandato perché fosse tornato indietro appena li aveva visti. Lui si era limitato ad alzare le spalle.

Mentre raccoglieva le sue cose piegato a terra il pavimento aveva cominciato a vibrare, dopo aveva sentito un boato e tante urla. Era rimasto immobile nella confusione più totale. I pensieri erano precipitati a valanga, e lui non era riuscito a controllarli. Aveva sentito il cane abbaiare e la paura attanagliargli la gola. Una nuvola di polvere lo aveva assalito e qualcosa di pesante gli era caduto addosso. La polvere gli aveva riempito la bocca e gli occhi, gli era entrata dentro fino ai polmoni. Non vedeva, non respirava. Per qualche istante il peso dei detriti gli aveva schiacciato il petto procurandogli dolore, dopo non aveva sentito più niente.

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Pubblicato da lincredibilestoria

Sono nato a Genova nel 1973 e sono sempre vissuto a Pieve Ligure, nel Golfo Paradiso, dove tuttora vivo con mia moglie e i miei due figli. Laureato in Economia Marittima e dei trasporti sono impiegato nel settore del commercio. Appassionato di musica e letteratura, negli anni 90 ho realizzato con alcuni amici il sito web www.luciobattisti.net, ossia il primo sito web dedicato a Lucio Battisti, purtroppo oggi non più attivo. Il mio primo romanzo “L’incredibile storia di Marrazzo che non credeva ai fantasmi” (LFA Publusher, 2019) è stato finalista della seconda edizione del concorso “Romanzi in cerca di autore” realizzato da Passione Scrittore in collaborazione con Mondadori Store e Kobo Writing Life. Il secondo, “Frammenti di razionale confusione” (New-Book Edizioni, 2019), uscito nel solo formato digitale, è menzionato speciale del secondo Concorso Letterario New-Book Edizioni. Nel 2020 un mio racconto dal titolo "Vicoli" viene incluso nella collana "Racconti liguri. Vol. 2" (Historica Edizioni EAN: 9788833372013) grazie al concorso indetto dalla Historica Edizioni "Racconti liguri 2020". Il primo volume dell'antologia "Un Natale Horror 2020" (ISBN 9798581288856 - letteraturahorror.it) contiene un mio racconto dal titolo "Alcune distrazioni". Nella raccolta "Corde, delitti e altri misteri" (ISBN ‎ 979-8784705129 - #autorisolidali, dicembre 2021) è incluso un mio racconto dal titolo "La ragazza della cisterna di Ponte Vecchio". "Il racconto di un piccolo cane" appare nell'antologia "Letteratura per il nuovo millennio" (ISBN 978-88-946367-8-9 - QUIA Edizioni, giugno 2022). "Storie di treni, di stazioni e di esplosioni" è inserito nella raccolta della ivvi.it "Scrittori italiani, libro rosso" (settembre 2022). Nel novembre del 2022 la Brè Edizioni pubblica "C'era una volta Lorenzo - Gli ultimi istanti di un uomo sbagliato" (ISBN-13 ‏ : ‎ 979-1259702838), finalista della sesta edizione dell’iniziativa letteraria Fai viaggiare la tua storia, organizzata da Libromania con la collaborazione di De Agostini Libri. Dalla collaborazione con il Centro Studi Storie di Jeri, che si occupa di storia locale inerente ai comuni di Bogliasco, Pieve Ligure e Sori, nasce la pubblicazione del saggio "La favola del castello di Pieve Ligure" nel XV Volume dei Quaderni di Storia Locale (Novembre 2023). La giuria del Premio Letterario Internazionale Casinò di Sanremo Antonio Semeria ha scelto il racconto "Dall’alba al tramonto" per essere inserito nell’antologia dedicata al centenario calviniano dal titolo Camminando sul sentiero dei nidi di ragno (De Ferrari, EAN 9788855036320, Dicembre 2023).