La favola del castello di Pieve Ligure

Un po’ di tempo fa sono stato contattato da una vera e propria istituzione per chi, come me, ha a cuore il territorio e la storia del Golfo Paradiso. Le sue pubblicazioni sono per molti un punto di riferimento: durante le mie ricerche, se ho qualche dubbio, consulto i suoi testi e, nove su dieci, trovo la risposta. Sto parlando, lo avrete capito, di Pier Luigi Gardella.

Incontrarlo è stato interessante e imbarazzante al tempo stesso. Imbarazzante perché avevo paura mi dicesse: Ehi! Hai copiato dai miei libri, un po’ va bene, ma hai esagerato (cosa che per fortuna non è successa). Interessante perché non capita tutti i giorni di fare due chiacchiere con la persona che ha scritto il libro che hai sul comodino.

Da quella conversazione sono nati diversi progetti, uno ha dato inizio alla mia collaborazione con il Centro Studi Storie di Jeri.

La copertina del Volume XV dei Quaderni di storia locale che ospita “La favola del castello di Pieve”

Pur essendo un appassionato di tutto ciò che riguarda il territorio dei paesi di Pieve, Bogliasco e Sori, non avevo mai sentito parlare dei Quaderni di storia locale. Il che è davvero strano.

Da un lato scoprire dell’esistenza di ben quattordici volumi pubblicati dal Centro Studi Storie di Jeri tra il 2006 e oggi (un’infinità di materiale tutto in una volta sola!) è stato eccezionale, dall’altro mi ha fatto riflettere.

Chissà quante persone, come me legate al territorio del Golfo Paradiso, non sono a conoscenza di una risorsa tanto preziosa. Cosa posso fare affinché gli articoli di questa collana arrivino a chi li apprezzerebbe?

Non molto, purtroppo. Ma quel poco, legato per lo più al passaparola, è comunque qualcosa. Quindi spero che dopo aver letto questo volume, se vi è piaciuto, o se vi è venuto in mente un conoscente a cui possa piacere, ne parliate. Proprio come succedeva nell’antichità, quando la storia si tramandava grazie alla parola e alla volontà dell’uomo di non dimenticare.

È vero, i racconti non sono sempre affidabili, la percezione di chi ha vissuto un fatto è già soggettiva di per sé, figuriamoci poi come cambia un avvenimento man mano che viaggia di bocca in bocca. Ma fino a quando ci sarà qualcuno che ne conserva un brandello, per quanto romanzato sia, non verrà perso il senso di continuità tra il nostro tempo e quello di chi ci ha preceduto.

I libri vengono scritti al solo scopo di essere letti. È così anche per questi volumi, però al loro interno c’è un valore aggiunto che li rende speciali. In loro c’è un fine nobile: preservare la memoria.

Intere generazioni, comprese quelle del passato più recente, si sono portate via tantissimi frammenti di una storia che non verrà più recuperata.

È sempre stato così e sempre lo sarà, non si può conservare tutto, ci mancherebbe. Ancorarsi alla nostalgia del passato non porta mai a nulla di buono, è vero, ma non possiamo permettere che l’esistenza dei nostri avi cada nell’oblio.

I Quaderni di storia locale sono un contributo presente per le generazioni future. Un segno del nostro passaggio. In fin dei conti la vera storia, non solo quella riassunta dai libri di scuola, è fatta di tante piccole storie mai raccontate.

Sono queste che il Centro Studi Storie di Jeri cerca di salvaguardare. Con passione e (è bene dirlo) senza alcun ritorno economico. Mettendo a disposizione del territorio materiale appartenente al territorio.

Cartolina con l’antica torre di Ponte Legno

C’era una volta una torre di segnalazione che dominava il piccolo promontorio vicino alla ripa di San Gaetano. Costruita dagli abitanti della zona, con il beneplacito della Repubblica di Genova, ha protetto nel corso dei secoli il territorio alle sue spalle, permettendo di avvistare le imbarcazioni che si avvicinavano a riva. Pirati barbareschi, scorribande ottomane: le località rivierasche subivano attacchi continui e la nostra torre, per quanto non ci siano testimonianze dirette del suo operato, ha resistito quasi cinque secoli, finché un giorno, nei primi anni del Novecento, al suo posto è stato costruito un castello. Dall’epilogo della protagonista di una favola, quindi, ha avuto inizio una nuova favola. Prima però di raccontarla è doveroso spendere qualche parola in più sulla torre, perché senza il suo sacrificio nulla di tutto ciò che state per leggere sarebbe successo.

Di lei sappiamo poco: è stata costruita tra il XV e il XVI secolo, era chiamata torre di Ponte Legno, è citata in alcune mappe storiche. La più antica di queste, o perlomeno la più antica arrivata ai nostri giorni, risale alla metà del 1700.

La carta di Matteo Vinzoni nella quale è evidenziata la torre Ponte Legno

Come le altre torri di segnalazione del nostro territorio è detta saracena. Il termine saraceno non è però corretto. Per quanto sia vero, infatti, che le torri di segnalazione avessero lo scopo di avvistare i pirati, va precisato che i saraceni compivano incursioni nel mar Ligure più o meno cinquecento anni prima della loro costruzione. Non è questo l’unico caso di aggettivazione impropria nel classificare opere antiche in Liguria, basti pensare al termine romano per individuare i ponti ad arcata, come per esempio quelli di Nervi o Bogliasco, che in realtà hanno origini medievali.

Non sappiamo perché la torre si chiamasse Ponte Legno, è noto però che Ponte Legno è il toponimo della zona in cui si trovava. A tal proposito merita un accenno la curiosa coincidenza che vede la costruzione negli anni Cinquanta del secolo scorso di un ponte transitorio di legno e ferro sull’Aurelia, ponte Bailey, in seguito alla frana che l’aveva interrotta proprio sopra il castello.

Ponte Legno è anche il nome di uno dei torrenti di Pieve. È interessante notare che la torre era stata costruita tra le foci di altri due corsi d’acqua, il fosso Sapelo e il rio Besso, mentre il fosso Ponte Legno, che nasce in località Sciuto e scende dritto, tagliando località Montobbio, sfocia presso la vicina scogliera del Fontanino.

Conclusa la parentesi introduttiva è arrivato il momento di parlare del castello. O meglio, è arrivato il momento di presentare la donna che lo ha ispirato. Del resto, ogni favola ambientata in un castello ha la sua principessa, e questa non poteva essere da meno.

La nostra principessa – o contessa, come in molti la chiameranno più avanti, nonostante lei non gradisse il titolo – ha un nome importante, si chiama Annie Imperatori. Nei primi anni del Novecento la famiglia Imperatori appartiene all’alta aristocrazia milanese e Annie, che è in età da marito, ha diversi pretendenti. È bella, intelligente, colta. Tutte qualità, queste, che suscitano interesse tra gli scapoli di buona famiglia. Ama la letteratura, il disegno, i viaggi. Anche la musica, infatti frequenta spesso il teatro alla Scala. È qui che conosce Ernesto Cirla, l’uomo che nel 1905 diverrà suo marito e che, pochi anni dopo, le farà costruire un castello.

Annie Imperatori, fine 800

Ernesto è un trentenne di bell’aspetto, alto, affascinante. Come Annie, ama la poesia, l’arte, la musica. Si è laureato a Oxford, è ingegnere.

Ernesto Cirla a Oxford, in posa per la laurea

La famiglia Cirla è molto conosciuta e apprezzata: è attiva da generazioni nell’estrazione e nella lavorazione del granito, che trasporta a Milano dai cantieri del lago Maggiore, per poi distribuirlo in tutto il mondo. Inoltre, il padre di Ernesto, Teodoro, ha una fiorente attività legata alla produzione della rinomata seta delle valli lombarde.

Teodoro Cirla con la moglie Henrietta Luff nella loro villa di Lugano. Le informazioni su di loro sono poche, sappiamo che lei era inglese e che lui ha vissuto diversi anni in Sud America. Erano molto legati, al punto che Teodoro, pur essendo in salute, è venuto a mancare pochi giorni dopo la morte della moglie. Sono tuttora sepolti nel cimitero di Lugano.

Novelli sposi, Annie ed Ernesto scoprono la riviera ligure, rimangono affascinati da quella grezza e frastagliata di levante. Nel 1906 Ernesto acquista dalla famiglia Fontana un terreno a Pieve Ligure: una pineta a picco sul mare. A colpirlo è la vecchia torre che ne fa parte, vorrebbe che diventasse il castello della sua regina. Le condizioni della torre di Ponte Legno però non sono buone, salvarla è impossibile. Non rimane che ricostruire.

Annie Imperatori

Annie ed Ernesto potrebbero avvalersi della collaborazione dell’ingegnere Giuseppe Sommaruga, massimo esponente del Liberty italiano, che per la famiglia Cirla ha già progettato alcuni palazzi a Milano. È vero, le ville in stile Liberty sono la moda del momento, quelle che frequentano sui laghi lombardi sono molto belle, ma Annie vuole qualcosa di diverso. Vuole trasformare quella pineta sul mare in un simbolo che rappresenti il loro amore, in un’opera d’arte che nemmeno il tempo possa scalfire. Un’impresa del genere non può essere affidata ad altri: solo lei e il marito possono affrontarla. Cominciano dunque a lavorare: Annie propone le idee, Ernesto le trasforma in disegni. Ispirati dalla torre, che per secoli è stata il simbolo del promontorio, decidono di costruire un castello. Usano le sue pietre, cercano di mantenere il più possibile inalterato il colpo d’occhio che li ha fatti innamorare di quel posto. Pensano a ogni dettaglio: il ponte levatoio, le mura, le due torri di altezza differente, i sentieri sinuosi nella pineta, il piccolo tempio affacciato sul mare, i versi latini da scrivere sui muri, persino la garitta per le sentinelle sul viale d’accesso.

Nel 1915 terminano i lavori, e la regina ha finalmente il suo castello: Ernesto dona l’intera proprietà alla moglie in occasione della nascita del loro terzo figlio Gastone.

Annie Imperatori, la regina del castello di Pieve

Purtroppo, Il 1915 è anche l’anno dell’inizio della Grande Guerra in Italia, siccome però il conflitto non coinvolge direttamente il castello, non entra a far parte di questa storia.

Il tempo passa, Annie ed Ernesto vivono la loro vita con i tre figli Alessandro, Renata e Gastone. Tra alti e bassi, proprio come ognuno di noi. Negli anni a cavallo delle due guerre subiscono di malavoglia l’espropriazione di parte del parco per il raddoppio della ferrovia prima, e la messa in opera della nuova stazione accanto alle mura dopo. Fanno costruire la villetta La Pineta per il figlio Alessandro, che ha problemi di salute, così da permettergli di avere una casa indipendente all’interno del parco, dove godere dell’aria buona di mare.

La Pineta in costruzione, nel 1939 Ernesto la donerà al figlio Alessandro in occasione del suo matrimonio con Innocenza Monaco

Fanno anche costruire, seguendo lo stile del castello, un’abitazione alle spalle del casello ferroviario. Annie, che adora essere circondata dai bambini, permette ai sei nipoti del custode che la abita, Lorenzo Zunino, di trascorrere le estati nel parco. Inoltre, grazie ai legami che la famiglia Cirla ha con la Minerva Film, viene girato all’interno del castello e nei suoi dintorni parte del lungometraggio Senza una donna del regista genovese Alfredo Guarini (1901 – 1981). Le riprese avvengono probabilmente prima della guerra, ma il film esce nelle sale in pieno conflitto, nel 1943. Tra i protagonisti c’erano anche l’allora celebre tenore Giuseppe Lugo (1899 – 1980) e Carlo Campanini (1906 – 1984).

Sulla destra Ernesto e Annie, con alle spalle un noto tenore dell’epoca. A sinistra la nuora Innocenza Monaco e la figlia Renata

Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale mette fine a un’epoca irripetibile. Tuttavia, la favola del castello non è ancora terminata.

Annie ed Ernesto scappano lontano dalle bombe, a vegliare sulla loro proprietà rimangono i figli. In particolar modo Alessandro, che ha trent’anni ed è libero dagli obblighi militari a causa della salute delicata. Insieme alla moglie si trasferisce nella villetta La Pineta, sfidando l’imminente e inevitabile occupazione tedesca del parco.

La villetta La Pineta, lungo l’Aurelia

Alessandro è un promettente violoncellista, tra il 1941 e il 1942 la sua carriera di concertista prosegue nonostante la guerra. Giornali come Il Secolo XIX, Il Nuovo Cittadino e Il Lavoro lo definiscono un musicista di valore dalla tecnica ineccepibile. Ne esaltano la virtuosità e l’ardore interpretativo. Ama il mare e la barca a vela. Ama anche Pieve Ligure, è nel suo piccolo e incantevole cimitero che vorrebbe essere seppellito, anche se il suo desiderio non potrà essere soddisfatto. È sposato dal 1939 con Innocenza Monaco, una giovane rimasta vedova poco più che ventenne, il cui primo marito, un ingegnere spagnolo, è stato assassinato durante la guerra civile.

Grazie all’aiuto di gente fidata di Pieve, Alessandro riunisce gli oggetti di valore nel seminterrato del castello e, usando le pietre avanzate dai lavori di costruzione, fa murare tutto dietro a una nuova parete. Pochi giorni dopo si presenta nel parco un’unità militare tedesca. All’inizio non c’è ostilità, dopo una veloce perquisizione viene installato nel castello un comando militare di zona.

Gli ufficiali tedeschi sono persone colte, educate: discutono con Alessandro, che parla la loro lingua, di arte e musica. Mantengono un rapporto di reciproco rispetto. In particolare, uno è un musicista, proprio come lui, e fa spostare il pianoforte dal salone dell’ingresso in cui si trovava alla stanza con la terrazza del piano superiore. Lo fa mettere davanti alla finestra, per poterlo suonare godendo della splendida vista sul golfo.

Ben diverso è l’atteggiamento delle SS che arrivano in seguito. Nonostante tutto, Alessandro e Innocenza rimangono nella Pineta. Vigilano le condizioni del castello, ma non possono impedirne il deterioramento.

Mese dopo mese la guerra cambia volto, la fine però è ancora lontana. Cominciano i bombardamenti mirati: ponti ferroviari e batterie costiere diventano obiettivi strategici da abbattere. Gli Alleati provano a colpire anche il castello, lanciano una bomba nel parco, che invece cade fuori dalle mura. Non c’è comunque da gioire: l’esplosione provoca feriti e una vittima, inoltre le preziose vetrate del castello, che Annie ed Ernesto avevano commissionato prendendo a modello le grandi cattedrali europee, si frantumano durante la deflagrazione. E non è tutto: i tedeschi, preoccupati da possibili ulteriori bombardamenti, decidono di mozzare la torre più alta per rendere il comando meno visibile. Alessandro si oppone, ma non viene ascoltato. Disperato si rivolge al capomastro della ditta edile Capurro di Pieve, che aveva coordinato i lavori di costruzione del castello. L’uomo mette a rischio la sua vita, mente ai tedeschi. Sostiene che l’abbattimento della torre, anche se parziale, comprometterebbe la tenuta dell’intera struttura. Per fortuna le sue parole non risultano vane e salvano la torre.

Alessandro può tirare un sospiro di sollievo, ma le preoccupazioni non sono finite.

Siamo nel 1944, dopo cinque anni di matrimonio, Innocenza rimane incinta. È una splendida notizia, ma la Pineta non è un posto sicuro dove portare avanti la gravidanza. Inoltre, a Pieve è sempre più difficile procurarsi alimenti freschi e, anche trovandoli, vengono venduti a prezzi esorbitanti dalle famiglie dissanguate dalla guerra. Con una coppia di amici, anche questa in dolce attesa, Alessandro e Innocenza si mettono in viaggio: partono per Cogne in Valle d’Aosta.

Innocenza e Alessandro

I quattro giovani trascorrono nel Gran Paradiso giorni più o meno tranquilli: le donne respirano aria buona, bevono latte fresco, si cibano di alimenti genuini. Quando il momento del parto si avvicina scoprono che l’unico ospedale, quello di Aosta, è congestionato dai feriti di guerra. Non rimane che tornare a Genova, il viaggio di ritorno però non è per niente semplice. I boschi che li dividono dalla pianura sono territorio di scontro della guerra civile.

Le donne, ormai prossime al travaglio, salgono su un autobus fatiscente, gli uomini scendono a valle a piedi. Prima di dividersi si stringono in un lungo abbraccio, temendo di non rivedersi più. Diverse ore dopo riescono a riunirsi. Tanto doloroso era stato l’abbraccio della separazione, quanto gioioso è quello del nuovo incontro.

Anche il viaggio fino a Genova non è semplice, Alessandro e Innocenza riescono a trovare un passaggio su un camion, lei davanti con il conducente, lui dietro con il carico. Sono costretti più volte a nascondersi all’interno di gallerie e a rimanere ore fermi. Ma alla fine raggiungono Genova.

Alessandro Cirla e Innocenza Monaco insieme all’ambasciatore argentino alla Santa Sede, in occasione dell’udienza privata concessa loro da Papa Pio XII

Qualche settimana dopo la nascita del bambino, senza alcun preavviso, i tedeschi lasciano il parco. Alessandro può finalmente rientrare nel castello per verificarne le condizioni. Non sono buone. La parte più danneggiata è quella rivolta verso il mare, c’è anche una fossa molto profonda davanti. Tutto fa pensare che i tedeschi stessero predisponendo l’installazione di una nuova batteria militare. Sperando che non tornino per terminare il lavoro, Alessandro, con l’aiuto dalla gente di Pieve, raccoglie il ferrame abbandonato nel parco dai soldati. Nei giorni a seguire è spesso fuori per la vendita del materiale recuperato. In uno di questi, mentre Innocenza è sola nel parco con accanto la culla del piccolo Roberto, le si presenta davanti un ufficiale tedesco. È stato incaricato di controllare le istallazioni lasciate dal comando militare. Innocenza è terrorizzata, gran parte del materiale è stato venduto dal marito. Non è difficile immaginare cosa possa succedere dopo la constatazione del fatto. Per sua fortuna l’ufficiale posa gli occhi su Roberto, il bambino gli ricorda il figlio. Intenerito, le mostra alcune fotografie, si sfoga con lei. Soffre per la separazione dai suoi cari, soffre per l’atrocità della guerra. Innocenza capisce di avere un’opportunità, forse l’unica che possa salvare la sua famiglia. Angosciata cerca in ogni modo di prolungare la conversazione pur di tenere l’ufficiale lontano dal castello. A un certo punto, l’uomo guarda l’orologio, dice che si è fatto tardi. Le chiede se ogni cosa è rimasta come il comando l’ha lasciata. Innocenza conferma e lui, fidandosi, se ne va.

Annie e Roberto, figli di Alessandro e Innocenza

Arrivano così gli ultimi giorni del conflitto. Una mattina Alessandro e Innocenza vedono dalle finestre della Pineta un gruppo di soldati tedeschi in fuga lungo l’Aurelia. Tra loro c’è un ragazzo ferito che fatica a tenere il passo. Innocenza osserva il drappello avanzare, vede il giovane stremato sul ciglio della strada, le sembra un bambino. Si immedesima in sua madre, non può permettere che muoia così. Chiede ad Alessandro di andare a prenderlo, insiste. Dalle finestre delle case vicine arrivano grida ostili, Alessandro le sente, lo spaventano. Non è sicuro che scendere in strada sia la cosa giusta da fare, teme la reazione della gente. Innocenza però non cede, non si può abbandonare alla morte un giovane indifeso. È da situazioni come questa che si vede la differenza tra gli uomini e le bestie. La sensibilità della moglie, le sue parole dure, fanno breccia nell’animo di Alessandro che, toccato nel vivo, si arma di tutto il coraggio che ha. Sfidando urla e insulti, corre in strada e aiuta il soldato a raggiungere la Pineta. Qui lo affida a Innocenza, mentre va alla ricerca di qualcuno che sia in grado di salvarlo. È un’impresa ardua, i primi dottori a cui si rivolge hanno paura: curare un tedesco, per di più nascosto, è molto pericoloso. Ma dopo diversi tentativi, riesce a trovare un medico disposto a occuparsi di lui. Quando il ragazzo si rimette, Innocenza e Alessandro scoprono che ha solo diciassette anni. Rimarrà con loro ancora qualche giorno, il tempo necessario per convincerlo a consegnarsi come prigioniero di guerra.

Siamo giunti così all’epilogo della nostra favola. Con la fine della guerra la famiglia Cirla può finalmente riunirsi e tornare al castello. Annie ed Ernesto recuperano i preziosi oggetti nascosti da Alessandro, fanno sistemare le decorazioni interne e le vetrate. Fanno anche costruire una maestosa scalinata che scende verso il mare al posto della fossa scavata dai tedeschi.

Il tempo passa e il castello, proprio come la torre di Ponte Legno prima di lui, continua a dominare il piccolo golfo sotto la ripa di San Gaetano. Alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso Annie ed Ernesto si trasferiscono a Roma. Ormai sono anziani e il viaggio dalla capitale al castello diventa anno dopo anno più faticoso.

A metà degli anni Cinquanta muoiono prima Ernesto, poi Alessandro. Afflitta, Annie decide di non tornare più a Pieve. Con l’abbandono della sua regina cominciano gli anni bui del castello. Dopo essere stato comprato da un armatore russo rimane a lungo inabitato. Il parco, un tempo adorno di fiori e curato da giardinieri esperti, si copre di rovi e vegetazione spontanea. Qualche bambino ogni tanto scavalca le mura per esplorare quel luogo misterioso. Nasce così la leggenda della strega armata di fucile che caccia chiunque provi ad avvicinarsi al castello. Ma questa è un’altra storia che in parte è già stata raccontata e che, forse, prima o poi qualcuno approfondirà.

Annie, figlia di Alessandro e Innocenza, davanti al castello

Tutte le fotografie appartengono alla famiglia di Annie Cirla, che ringrazio per aver condiviso i preziosi ricordi contenuti in queste pagine.

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Pubblicato da lincredibilestoria

Sono nato a Genova nel 1973 e sono sempre vissuto a Pieve Ligure, nel Golfo Paradiso, dove tuttora vivo con mia moglie e i miei due figli. Laureato in Economia Marittima e dei trasporti sono impiegato nel settore del commercio. Appassionato di musica e letteratura, negli anni 90 ho realizzato con alcuni amici il sito web www.luciobattisti.net, ossia il primo sito web dedicato a Lucio Battisti, purtroppo oggi non più attivo. Il mio primo romanzo “L’incredibile storia di Marrazzo che non credeva ai fantasmi” (LFA Publusher, 2019) è stato finalista della seconda edizione del concorso “Romanzi in cerca di autore” realizzato da Passione Scrittore in collaborazione con Mondadori Store e Kobo Writing Life. Il secondo, “Frammenti di razionale confusione” (New-Book Edizioni, 2019), uscito nel solo formato digitale, è menzionato speciale del secondo Concorso Letterario New-Book Edizioni. Nel 2020 un mio racconto dal titolo "Vicoli" viene incluso nella collana "Racconti liguri. Vol. 2" (Historica Edizioni EAN: 9788833372013) grazie al concorso indetto dalla Historica Edizioni "Racconti liguri 2020". Il primo volume dell'antologia "Un Natale Horror 2020" (ISBN 9798581288856 - letteraturahorror.it) contiene un mio racconto dal titolo "Alcune distrazioni". Nella raccolta "Corde, delitti e altri misteri" (ISBN ‎ 979-8784705129 - #autorisolidali, dicembre 2021) è incluso un mio racconto dal titolo "La ragazza della cisterna di Ponte Vecchio". "Il racconto di un piccolo cane" appare nell'antologia "Letteratura per il nuovo millennio" (ISBN 978-88-946367-8-9 - QUIA Edizioni, giugno 2022). "Storie di treni, di stazioni e di esplosioni" è inserito nella raccolta della ivvi.it "Scrittori italiani, libro rosso" (settembre 2022). Nel novembre del 2022 la Brè Edizioni pubblica "C'era una volta Lorenzo - Gli ultimi istanti di un uomo sbagliato" (ISBN-13 ‏ : ‎ 979-1259702838), finalista della sesta edizione dell’iniziativa letteraria Fai viaggiare la tua storia, organizzata da Libromania con la collaborazione di De Agostini Libri. Dalla collaborazione con il Centro Studi Storie di Jeri, che si occupa di storia locale inerente ai comuni di Bogliasco, Pieve Ligure e Sori, nasce la pubblicazione del saggio "La favola del castello di Pieve Ligure" nel XV Volume dei Quaderni di Storia Locale (Novembre 2023). La giuria del Premio Letterario Internazionale Casinò di Sanremo Antonio Semeria ha scelto il racconto "Dall’alba al tramonto" per essere inserito nell’antologia dedicata al centenario calviniano dal titolo Camminando sul sentiero dei nidi di ragno (De Ferrari, EAN 9788855036320, Dicembre 2023).